Intonaci, malte e sistemi di pitturazione e tinteggio

9 Novembre 2010

Ritengo che una dissertazione sul “colore della città”, inteso quale espressione dei linguaggi cromatici italiani, con valenze sia storico culturali che ambientali, non possa non partire da un più generale punto di domanda: su che cosa sia realmente il colore della città? o quanto meno su che cosa si possa realmente intendere come colore della città?
Da una prima valutazione, apparentemente banale, la risposta sembra per lo più essere legata al riconoscimento della natura cromatica della superficie degli edifici e dei manufatti che realizzano nel loro insieme il contesto urbano, almeno nella visione storicamente determinata, ovvero quella che è stata definita la “scena urbana”. Da questo incontestabile primo riconoscimento, che si antepone sul piano dialettico nella discussione sul colore della città, discendono però due fondamentali e – aggiungerei – più opinabili ambiti di valutazione:
a) l’uno riguarda il significato stesso della locuzione “colore” riferita al trattamento delle cortine degli edifici da leggersi in chiave storico evolutiva;
b) l’altro interessa più direttamente la materia costitutiva del colore: l’intonaco, i pigmenti, i sistemi di pitturazione, le tecniche decorative.
In particolare, quest’ultima questione, per la chiave di lettura che maggiormente interessa questa trattazione, segue l’istanza della conservazione del colore, dalla sua genesi in poi.


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