Smaterializzarsi per riprendere corpo altrove, muoversi, in sostanza, grazie al teletrasporto. Da qui, da uno dei pochi miti fantascientifici che ancora resiste, prende le mosse la settima Biennale di Design di Saint’Etienne: una serie di mostre messe a punto con cura per raccontare un ipotetico futuro ormai calato tra gli oggetti del nostro quotidiano, in fretta e senza far troppo rumore. “Domani, è oggi” lo dice chiaramente il titolo di una delle esposizioni che raccoglie stampanti 3D per alimenti, cartine di tornasole per analizzare in un secondo tutte le proprietà del cibo, abat-jour alimentate dall’energia del corpo. E se oggetti come questi – idee ma anche prototipi vicini alla realizzazione – suonano ancora strani (ma non impossibili!), in alcuni casi la Biennale richiama il visitatore alle cose che lo circondano, quelle che usa abitualmente e che condizionano il suo stile di vita, creando interessanti prospettive sulla routine contemporanea. Esemplare in questo senso la mostra curata per l’occasione dal designer tedesco Konstantin Grcic: tra gli oggetti esposti ci sono un dispositivo cercapersone per chi ha difficoltà di movimento, una carta di credito, Amazon, Google, il Wire-less… Tutte queste cose parlano di comfort contemporaneo e sono esposte accanto a piccole storie che raccontano i loro utilizzatori: persone con un irrefrenabile bisogno di sentirsi ubique, sempre connesse, veloci e costantemente operative su più fronti. Noi. E se il designer di Monaco sta sulle cose del nostro quotidiano, senza esprimere giudizi particolari a riguardo e dichiarandosi piuttosto narratore di una realtà che ha anche aspetti affascinanti, nella mostra Between reality and the impossible, Dunne & Raby, (esponenti di quello che è stato chiamato Critical Design), partono dal mondo degli oggetti prodotti per arrivare a progetti surreali: il loro Augmented Digestive System – che prevede un sistema digerente potenziato con una parte accessoria da portare attorno al collo – ad oggi è solo un disegno, ma non per questo risulta meno inquietante…In sostanza, nel discorso omogeneo (ma mai noioso) di questa Biennale, l’ipotesi di tornare indietro non è prevista. Senza nessun atteggiamento moralistico, designer e curatori sembrano proiettati verso un futuro non troppo lontano, a tratti inevitabile, a tratti eccitante. L’unico freno in questa corsa, è la preoccupazione per l’ambiente, la mostra “La Ville Mobile” a cura di Constance Rubini, lo illustra chiaramente prospettando scenari urbani in cui l’accelerazione e la semplificazione del movimento non può prescindere dal problema degli inquinamenti, da quello dell’aria a quello acustico. E se il tema ecologico è l’unico messo in luce in modo allarmante, il visitatore ha la possibilità di assumere una posizione rispetto allo stile di vita frenetico descritto dagli oggetti in mostra. A volte una fotografia oggettiva ed efficace, sortisce più effetti di un’articolata predica, questo al di là di ogni intento curatoriale.