Bioedilizia italiana: tra abusivismo e casi d’eccellenza

25 Marzo 2013

Secondo un’indagine del portale Casa.it, il 63% degli italiani vorrebbero un appartamento bio, il 58,8% ha intenzione di ristrutturare il proprio secondo i principi della bioedilizia e il 17,5% abita già tra muri di legno e finestre con doppio vetro. Risultati incoraggianti anche se rispetto agli altri paesi europei siamo ancora in forte ritardo. Una recente direttiva dell’Itre, il Comitato industria, ricerca ed energia del Parlamento Europeo, ha stabilito che dal 1 gennaio del 2019 tutti gli immobili dovranno essere costruiti ad impatto zero e che entro il 2018 saranno effettuati interventi sugli edifici già realizzati. Nel nostro paese, il tema della bioedilizia è solitamente accompagnato dal termine abusivismo. Case, ville, centri di qualsiasi genere vengono liberatamente realizzati là dove scorre un ruscello, a due passi dalla spiaggia, sulle propaggini rocciose di qualche riserva naturalistica orientata senza badare ai limiti ambientali, naturali e paesaggistici. Ad esempio, tra il 1990 e il 2005 sono stati divorati 3,5 milioni di ettari, cioè una regione più grande del Lazio e dell’Abruzzo messi insieme. Altri gli esempi che provengono d’oltralpe, dal nord del vecchio continente, dove già da tempo esistono addirittura interi quartieri e città scrupolosamente costruite secondo i canoni della bioarchitettura.
In Svezia, ad esempio, la carbon tax, la tassa sulle emissioni di CO2 è in vigore da 9 anni e, oltre a far diminuire le emissioni di gas serra, porta ogni anno 1,4 miliardi di euro allo stato svedese.
In Germania, nell’eco-quartiere di Vauban, coesistono luoghi di lavoro e residenze per diverse utenze sociali, un sistema di mobilità sostenibile che valorizza i trasporti pedonali, ciclabili e pubblici a scapito dell’uso delle auto private. Le facciate degli edifici, rivolti a sud per usufruire del maggior irraggiamento solare, sono realizzate su intelaiature in legno non strutturali mentre i tetti sono coperti da un sistema estensivo a verde. Gli edifici sono inoltre dotati di un sistema di gestione delle acque e dei rifiuti che vengono reimpiegati, attraverso opportuni processi di depurazione, per i wc e come fertilizzanti.
In Italia il primo esempio di architettura ecosostenibile risale al 1998 quando a Caponago (Mb) venne realizzato un complesso residenziale secondo i principi della bioarchitettura: isolanti naturali come sughero e kenaf, vernici bioprodotte per le rifiniture di tetti e pareti e legno per il tetto.
In Toscana,  in un quartiere popolare di Capannori (Lu) è stata realizzata (in un arco temporale brevissimo) la prima palazzina verde di classe energetica A. I pannelli di lana di roccia e fibra vegetale di canapa sono efficaci isolanti termici capaci di trattenere il calore durante la stagione invernale mentre i pannelli solari riscaldano l’acqua per usi sanitari. E ancora, risalendo lo stivale, in Veneto è in fase preliminare la ristrutturazione di uno stadio di rugby, concepito non solo per limitare i consumi energetici ma anche per produrre esso stesso energia.
A Bergamo è stata da poco realizzata una cattedrale vegetale: opera dell’architetto Giuliano Mauri, è composta da 42 piante di faggio su una superficie di 650 mq e favorisce un dialogo continuo tra l’uomo e la natura, trasmettendo così un messaggio di sintonia con l’ambiente. A dirla come Giancarlo Allen, segretario nazionale dell’ Associazione nazionale architettura bio–ecologica, L’unica architettura sostenibile è quella non costruita.

Fonte: Greenbiz