Sulla lotta al cambiamento climatico e sule misura per arginare la crescita delle temperature si apre un nuovo fronte di battaglia: oggetto dello scontro sono le cosiddette tecniche di geoingegneria, ovvero l’utilizzo delle moderne tecnologie per modificare artificialmente l’ambiente fisico e gli ecosistemi in genere. Al centro della disputa si trova ora l’IPCC, il panel di scienziati Onu che studia i cambiamenti climatici, che proprio sulle tecniche di geoingegneria ha organizzato in questi giorni un incontro di esperti in Perù.
Da un lato vi sono le pressioni esercitate da quei settori della ricerca e dell’industria che vedono nelle tecniche di manipolazione del clima una strada importante da percorrere – e quindi da sostenere adeguatamente sul piano finanziario – per limitare le emissioni e differirne gli effetti per un tempo sufficiente ad implementare strategie più efficaci di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.Dall’altro vi sono le preoccupazioni (sollevate soprattutto nel mondo ambientalista) sugli esiti potenzialmente imprevedibili di queste manipolazioni e sulle prospettive connesse all’utilizzo di tecnologie considerate ad elevato rischio ambientale.
Sul primo fronte, a difesa delle tecniche di geoingegneria, è sceso in campo il britannico Institution of Mechanical Engineers, che chiede all’IPCC di portare avanti programmi come, per esempio, quello per la realizzazione di alberi artificiali, capaci di assorbire la CO2 dall’atmosfera con un efficacia che può arrivare ad essere fino a mille volte superiore rispetto a quella degli alberi naturali. A dar manforte a questo appello concorre oggi un gruppo di istituti e di partner industriali che ha dato vita in Olanda ad un programma di ricerca quinquennale che ha l’obiettivo di mettere a punto la realizzazione di foglie artificiali capaci di replicare il processo della fotosintesi.
Sul fronte opposto si schierano quanti vedono nelle tecniche di geoingegneria non solo una strada assai rischiosa da percorrere, ma anche un modo per sottrarre l’industria dalle responsabilità che le derivano in ordine alla diminuzione del proprio carico di emissioni di gas serra. Proprio alla vigilia dell’appuntamento di Lima 125 organizzazioni non governative, rappresentanti di una quarantina di Paesi di tutti i continenti, hanno inviato una “lettera aperta” all’IPCC perché si faccia carico della valutazione di questi rischi e della deresponsabilizzazione che ne conseguirebbe in termini di minore impegno alla riduzione delle emissioni climalteranti.
Fonte: virgilio.notizie.it