Il deperimento delle foreste in Italia: rischi e strategie future

14 Novembre 2022

La vulnerabilità delle foreste in Italia è in aumento, cosa fare per monitorare il fenomeno e intervenire per migliorare la resistenza e la resilienza.

Negli ultimi due secoli di storia climatica italiana, ben 27 dei 30 anni più caldi sono successivi al 1990, e il più caldo sarà probabilmente l’anno in corso. Dalle elaborazioni del Copernicus climate change service , per l’Italia l’estate del 2022 si caratterizza come la sesta più calda e siccitosa della serie storica, con un deficit di piogge pari a meno 30 per cento. Inoltre secondo il Centro euromediterraneo per i cambiamenti climatici, in futuro le piogge tenderanno a concentrarsi in eventi sempre più intensi e sempre meno frequenti, soprattutto al sud, con allungamento dei periodi siccitosi.

Il clima sta diventando sempre più ostile per gli ecosistemi forestali. Le siccità sempre più frequenti, prolungate e intense mettono a serio rischio la salute dei nostri boschi e i benefici ambientali ed economici per la società. La carenza d’acqua rallenta la crescita, indebolisce le piante e nei casi più estremi ne provoca la morte. Inoltre, mentre una foresta sana svolge un’importante funzione di accumulo di carbonio, una soggetta alla siccità rischia di trasformarsi da assorbitore a emettitore di carbonio, con un ulteriore peggioramento della crisi climatica. Nel corso degli ultimi vent’anni, sono stati segnalati migliaia di casi di mortalità di foreste in ogni parte del globo ed in diversi biomi. Recentemente, si assiste ad un’intensificazione del fenomeno e i casi segnalati sono più che triplicati. Immaginate boschi estesi anche migliaia di ettari che nel giro di pochi anni seccano completamente. Un recentissimo studio coordinato dall’Università tecnica di Monaco di Baviera evidenzia che la siccità è la causa principale dell’aumento di mortalità degli alberi nelle foreste europee, mentre una ricerca del Centro di ricerca ecologica e applicazioni forestali (Creaf) di Barcellona avverte che la mortalità degli alberi a causa della siccità sta portando a una trasformazione del tipo di vegetazione in molti biomi. In pratica, le foreste dominate da specie tipiche di ambienti umidi si stanno evolvendo verso comunità con specie di ambienti più aridi: ad esempio, il pino silvestre sostituito dalla roverella o dal leccio in Europa, oppure il pino del Colorado sostituito da arbusti o piccoli alberi (es. Juniperus osteosperma) in Nord America. Si assiste dunque ad una rapida e spontanea sostituzione delle specie originarie, che possono morire in modo improvviso (per collasso dei vasi conduttori della linfa) o graduale (per l’interruzione della fotosintesi o l’attacco di parassiti che approfittano della debolezza dell’albero, di condizioni climatiche più favorevoli e di ridotte popolazioni di competitori e predatori naturali), con forte impatto sulla biodiversità e sui servizi ecosistemici del bosco.

 

Come si può monitorare lo stato di salute dei boschi?

Negli ultimi anni, la presenza di alberi morti in piedi in bosco, o caduti a terra a causa di eventi climatici estremi e/o di attacchi di patogeni ed insetti fitofagi, è tenuta sotto attenta osservazione nelle foreste di tutto il mondo. Numerose ricerche evidenziano un aumento dei casi e delle superfici forestali in cui gli alberi sono morti in piedi, o dove il deperimento di singoli alberi o gruppi più o meno estesi, è avvenuto nel corso di mesi o di pochi anni. In particolare, lo stato di salute delle foreste europee è da circa 25 anni oggetto di valutazione, grazie al programma di monitoraggio dello stato di salute e vitalità delle foreste Icp Forests . Il parametro più usato per stimare la salute e l’efficienza fotosintetica delle foreste è la defogliazione della chioma. La massa di foglie verdi in una chioma di un albero rappresenta, infatti, la superficie di assorbimento della radiazione solare e di anidride carbonica, convertita in carboidrati attraverso la fotosintesi. La defogliazione delle foreste è stimata visivamente in bosco, con osservazioni a terra, secondo una metodologia standard a livello europeo. L’analisi della defogliazione nel corso del tempo permette di conoscere e monitorare le variazioni di efficienza fotosintetica degli alberi, quindi della loro crescita e vitalità. Tuttavia, non è sempre semplice monitorare il deperimento di alberi e delle foreste: in specie decidue, il riconoscimento dello stato di morte dell’albero può essere difficile a causa della capacità di specie di sviluppare nuovi getti nella chioma, lungo il fusto e alla base del tronco, anche mesi dopo l’evento di disturbo (la siccità, o un attacco di insetti defogliatori). Ecco perché un aspetto molto importante nel monitoraggio forestale è mantenere un’alta frequenza di ripetizione delle osservazioni. Indagini svolte con cadenza annuale permettono di conoscere non solo il tasso annuo di mortalità del popolamento, ma anche lo stato di salute degli alberi prima della loro morte, la causa del deperimento e, nel caso di alberi defogliati ma non morti, le loro possibilità di recupero dopo l’evento di disturbo.

Lo stato e la funzionalità fotosintetica delle chiome degli alberi è stimabile anche a distanza grazie a tecniche di telerilevamento, cioè alla misura delle proprietà ottiche delle chiome. In particolare, ad essere calcolata è la proporzione tra la radiazione solare assorbita e quella ri-emessa a differenti bande dello spettro elettromagnetico. La famiglia di “indici di vegetazione” generata da questo calcolo può essere calcolata raccogliendo immagini delle chiome grazie all’osservazione da droni o satelliti. Questa tecnica permette di avere dati sullo stato di salute delle chiome in modo ripetuto nel tempo e con una risoluzione spaziale estesa, permettendo di creare mappe dello stato di salute delle foreste. La missione spaziale Sentinel 2, una delle più recenti, fornisce ad esempio dati con una risoluzione spaziale di dieci metri e una ripetizione temporale di due-tre giorni alle medie latitudini.

 

Qual è la situazione in Italia?

Studi recenti evidenziano come il fenomeno del deperimento e moria delle foreste in Italia sia in costante aumento. Ad essere colpite sono prevalentemente le querce (cerro, roverella, farnetto e farnia) con casi segnalati lungo tutta la penisola italiana. Un caso eclatante, per estensione delle superfici interessate (circa 9mila ettari) e per severità del fenomeno, è quello che si è verificato a partire dai primi anni del 2000 e tutt’ora in corso, che ha colpito i boschi planiziali di farnia della Pianura padana. Tale fenomeno ha suscitato profonda preoccupazione tra le autorità del Parco regionale del Ticino, tra Piemonte e Lombardia, poiché ad essere minacciato è uno dei pochi habitat forestali di pianura rimasti, a forte rischio di estinzione. Casi segnalati di deperimento riguardano anche alcune conifere come il pino silvestre e l’abete bianco. Soprattutto il pino silvestre è tra le specie più minacciate dalla siccità a livello europeo, e sta regredendo rapidamente a vantaggio di specie più adattate alla siccità, soprattutto ai limiti meridionali del suo areale di distribuzione. Nell’estate del 2022, molte specie forestali sono state colpite, inoltre, dal fenomeno della caduta precoce delle foglie: una risposta adattativa che l’albero mette in atto come estremo tentativo di risparmiare acqua, facendo cadere le foglie come se fosse autunno in modo da limitare le perdite di vapore acqueo per traspirazione dalle foglie stesse. Sempre secondo il Creaf, negli ultimi anni questo fenomeno in Europa è stato molto più frequente di quanto non si pensi. E sebbene si tratti di una strategia di adattamento, se la siccità dovesse ripetersi anche l’anno prossimo questi alberi avrebbero serie difficoltà a riprendersi, iniziando un lento ma inesorabile processo di deperimento e morte che potrebbe durare anche alcuni decenni.

Nonostante l’intensificarsi di questi eventi, ad oggi in Italia manca un’analisi puntuale e particolareggiata dell’entità e della distribuzione completa del fenomeno del deperimento forestale. Censire e monitorare i boschi in declino può aiutare a comprendere quali siano gli impatti dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi forestali e dove sia più urgente intervenire con una gestione forestale adattativa, al fine di salvaguardare i boschi più suscettibili. Queste le basi che hanno spinto alcuni ricercatori dell’Università della Basilicata e il gruppo di lavoro Sisef “Foreste, tra mitigazione ed adattamento”, alla creazione di SilvaCuore, la prima web-application italiana nata per il censimento dei siti forestali in deperimento, con l’obiettivo di creare una banca dati a livello nazionale, attraverso il coinvolgimento di una comunità attiva di utenti. L’applicazione SilvaCuore, grazie ad un interfaccia user-friendly, consente a tutti i cittadini di partecipare in modo intuitivo alla segnalazione. Pochi e semplici sono infatti i passaggi da seguire per poter contribuire alle attività di censimento messe in campo dal team SilvaCuore: inserire le informazioni basilari relative alla segnalazione, caricare o scattare alcune foto, localizzare il punto della segnalazione stessa. I dati, una volta validati dal team SilvaCuore, saranno pubblicati sulla homepage dell’applicazione consentendo ad altri utenti di conoscere lo stato di salute dei boschi italiani. L’obiettivo è quello di riuscire a creare una rete di monitoraggio che consenta non solo di monitorare lo stato di salute attuale delle foreste italiane ma anche di valutare le possibili dinamiche future, riuscendo a rispondere in maniera sempre più efficace alla sfida del deperimento forestale.

 

Cosa si può fare una volta che una foresta sia stata colpita dalla siccità?

Esistono diverse pratiche selvicolturali per il recupero di aree forestali in deperimento. Queste pratiche variano in funzione dell’entità del deperimento e del contesto vegetazionale in cui ci si trova. Per il loro carattere di “investimento ambientale”, sono spesso attività onerose e quindi necessitano di finanziamenti che sono prevalentemente pubblici. Un esempio virtuoso di recupero di boschi planiziali (a prevalenza di farnia) è stato avviato dalla regione Lombardia nel 2002 con il progetto “Dieci grandi foreste di pianura e di fondovalle”. Il progetto, tra le diverse attività, ha previsto la realizzazione di un nuovo bosco di pianura: il bosco di Carpaneta nel comune di Bigarello (MN). L’obiettivo era legato al recupero e alla valorizzazione ambientale di una superficie agricola abbandonata. Tuttavia, l’approccio utilizzato è stato quello di ripristinare artificialmente il flusso genetico ormai interrotto tra le varie popolazioni di farnia della Pianura padana, piantando insieme querce provenienti da varie regioni del nord Italia. Il bosco di Carpaneta e i semi che da esso si potranno raccogliere saranno molto più resilienti rispetto ai boschi di origine, isolati da moltissimi secoli e con sintomi evidenti di deperimento: il rimescolamento genetico che si creerà nel nuovo bosco è associato, infatti, a una maggiore probabilità di presentare caratteri genetici adattativi agli stress ambientali, compresa la siccità.

L’importanza della variabilità genetica e di una gestione forestale che la promuova è stata evidenziata in altri due progetti. Il primo, ResQ – Querce resilienti, finanziato dalla regione Lombardia, si occupa della selezione di risorse genetiche resilienti al cambiamento climatico delle popolazioni italiane di farnia. Il secondo progetto è il Life SySTEMiC , che intende utilizzare la diversità genetica come “strumento” per proteggere le foreste dal cambiamento climatico. L’idea è relativamente semplice: quanto maggiore è la diversità genetica degli alberi in una foresta, tanto più alta è la probabilità che esistano alberi con caratteristiche genetiche che conferiscono una maggior capacità di adattamento al cambiamento climatico, aumentando di conseguenza la resistenza e la resilienza dell’intero ecosistema forestale. Un esempio di recupero di popolazioni di abete bianco e tasso minacciate a causa dei cambiamenti climatici è stato il progetto Life Resilfor, svolto in Toscana e nelle Marche. Questo progetto ha combinato la ricostituzione del flusso genico tra popolazioni isolate con la tecnica della migrazione assistita. Prima si sono riprodotte le piante scelte utilizzando metodi tradizionali e in vitro; quindi, le piantine ottenute dagli incroci sono state piantate in nuovi siti, tenendo in considerazione sia la provenienza geografica delle foreste di origine sia l’entità del cambiamento climatico nei siti di impianto, al fine di creare nuove popolazioni di abete bianco e tasso più adattate al clima futuro. In Toscana sono stati selezionati tre siti, uno sul Monte Amiata (SI) e due nel Parco nazionale delle foreste casentinesi (AR), mentre nelle Marche sono stati individuati i due siti più significativi per la presenza di abete bianco, Fonte Abeti, nei pressi del valico di Bocca Trabaria (PU) e a Valle della Corte (AP), nel Parco nazionale del Gran Sasso-Monti della Laga.

Nel caso specifico di deperimento dovuto alla siccità, una tecnica selvicolturale “preventiva” è il diradamento. In particolare, il diradamento selettivo prevede di scegliere gli alberi destinati alla sopravvivenza e di ridurre la densità del bosco nel loro immediato intorno, tagliando le piante dirette competitrici. In questo modo le piante rimaste (“candidate”) avranno a disposizione più risorse (prevalentemente luce e acqua) e potranno sopportare meglio eventuali condizioni di stress climatico. Questa tecnica è stata applicata in almeno quattro progetti italiani finanziati dal programma Life. I progetti Life ManFor C.BD. e Life AForClimate li hanno applicati al faggio, mentre i progetti SelPiBioLife e FoResMit li hanno applicati ai rimboschimenti di conifere mediterranee. Esistono ancora molte altre tecniche selvicolturali per aumentare la resilienza al cambiamento climatico. Il progetto Life Resilformed, per esempio, ha applicato tali tecniche in una serie di aree dimostrative in boschi della Sicilia, al centro di uno dei principali “punti caldi” di cambiamento climatico globale. Il progetto ha definito cinque modelli di gestione selvicolturale climaticamente intelligente da applicare alle foreste siciliane per migliorare la loro resilienza: (1) interventi a favore della mescolanza di più specie e della tenuta idrologica del soprassuolo; (2) interventi di rinaturalizzazione di foreste artificiali, (3) interventi di ripristino e restauro di aree degradate; (4) interventi a favore dello sviluppo della complessità strutturale del bosco; (5) interventi a favore della connettività ecologica nei sistemi agro-forestali. I modelli di gestione così definiti sono stati successivamente realizzati a scopo dimostrativo in sei aree territoriali rappresentative della regione; la replicabilità dell’approccio in altri territori è favorita dalle schede di valutazione e dalle linee guida in italiano e inglese disponibili sul sito di progetto.

Questi progetti hanno mostrato l’efficacia di una gestione forestale responsabile, basata sulla scienza e mirata a conservare o migliorare la resistenza delle foreste agli stress climatici. Il loro successo ha fatto scuola in altri Paesi europei, le cui foreste iniziano a dover affrontare minacce climatiche simili a quelle che vediamo in atto nel nostro Paese, tanto che sono stati inseriti in un network europeo di progetti dimostrativi di gestione forestale climate-smart. Un successo della ricerca forestale italiana e della rete di ricercatori che la porta avanti in tutte le regioni d’Italia.

 

 

Credits: https://www.lifegate.it/deperimento-foreste-italia