Le emissioni serra non hanno targa, si mischiano nell’atmosfera. Non c’è differenza tra quelle che vengono da un ingorgo a New Delhi e quelle di una centrale a carbone americana: tutte fanno salire la temperatura del pianeta. Ma i farmaci proposti per la terapia climatica (auto elettriche, case efficienti, innovazione industriale, agro-ecologia) non hanno tutti gli stessi effetti. Per valutarne l’efficacia e il modo di usarli serve un termometro. A Parigi ne stanno sperimentando uno.
“Nel 2017 la città di Parigi, il Laboratorio di scienze del clima e dell’ambiente e il gruppo industriale Suez hanno iniziato a mettere a confronto scienziati che parlano mettendo 4 decimali dopo ogni numero e politici che hanno bisogno di parole semplici. Si trattava di creare un modello di misurazione scientificamente valido ma anche immediato, con risultati chiari”, racconta David Duccini, ceo di Origins.earth, l’azienda che ha messo a punto il sistema. “Abbiamo costruito una piattaforma digitale delle emissioni dell’Île-de-France, un’area da quasi 12 milioni di abitanti, che ci permette di leggere la mappa della grande Parigi evidenziando le responsabilità di ogni settore e gli effetti su ogni chilometro quadrato. Tutto in tempo reale”.
La prima risposta che è arrivata è stata chiara, ma anche prevedibile: il lockdown pandemico ha tagliato le emissioni del 46%; lo sciopero dei trasporti dell’11 dicembre scorso le ha fatte impennare. Il discorso diventa più interessante quando si parla di traffico. Aprendo la mappa digitale si vedono subito le macchie scure delle emissioni intense che si sovrappongono ai grandi assi viari. Ok, anche questo ce lo aspettavamo, ma arriva subito una prima sorpresa: il numero delle macchine conta, ma conta soprattutto il modo in cui vengono gestite. La differenza tra un traffico intenso ma scorrevole e un tormentato stop and go è notevole: se l’andamento è fluido le emissioni scendono sensibilmente.
E il bello viene quando si vanno a misurare gli effetti delle misure anti traffico. Il monitoraggio conferma la necessità di un cambiamento radicale e profondo: le misure spot servono a poco o niente, mentre coinvolgere tutti in un graduale cambiamento delle abitudini paga.
“Chiudere alle auto i lungosenna nel weekend ha dato effetti contrastanti”, racconta Duccini. “C’è stato un beneficio locale ma il traffico si è riversato in periferia: da una parte l’inquinamento è diminuito, dall’altra è aumentato. Mentre i week end in cui, dopo una lunga fase di preparazione e di coinvolgimento degli abitanti, un intero arrondissement, quindi una parte consistente della città, ha bloccato le auto a diesel e a benzina ha prodotto un netto vantaggio in termini di taglio delle emissioni di CO2. Tutti erano preparati e molti si sono organizzati con modi diversi di spostamento. E ovviamente, assieme alle emissioni serra sono scesi gli altri inquinanti, quindi c’è stato un buon miglioramento della qualità dell’aria”.
In sostanza l’esperimento parigino rafforza l’idea che la soluzione per lo smog e la congestione delle città – l’inquinamento atmosferico in Italia costa la vita a 60 mila persone ogni anno – non si risolve solo con un salto tecnologico. L’elettrificazione del trasporto è un passaggio fondamentale, ma ci vuole anche una riorganizzazione urbana che permetta di avere (quasi) tutto ciò serve nella vita quotidiana a una distanza facilmente percorribile in un quarto d’ora: la città dei 15 minuti.
Mettendo assieme il riassetto funzionale delle città, l’elettrificazione e un intervento profondo sugli edifici mal costruiti (non solo infissi e caldaie: miglioramento delle prestazioni termiche di tutto l’involucro, dalle pareti al tetto) si può arrivare ad avere un’aria respirabile. Non è un modo di dire: oggi in molte città italiane per parecchi giorni l’anno respiriamo un’aria fuori dai limiti di legge. Legalmente non respirabile.
“Proprio perché le azioni possibili sono varie e i fondi limitati, è utile uno strumento che permetta di misurarne immediatamente l’efficacia: così si possono calibrare meglio gli investimenti”, continua Duccini. “Parigi ha scelto questa strada anche perché ha in programma altri interventi consistenti. Subito dopo le Olimpiadi del 2024 partirà il cantiere per pedonalizzare gli Champs-Élysées: sarà un’oasi anti traffico lunga 2 chilometri e larga 300 metri. Vedremo l’effetto che fa”.
Sarà interessante vederlo perché le aree urbane coprono solo il 2% delle terre emerse ma sono responsabili di oltre il 70% delle emissioni di CO2. Se guariscono le città guarisce anche il clima.
Credits: https://www.huffingtonpost.it/dossier/terra/2023/01/03/news/il_termometro_della_co2-11007797/