Gli alberi da soli non bastano. Ondate di calore, siccità e aria inquinata stanno rendendo la vita difficile anche alle specie arboree che abitano le aree urbane, rese vulnerabili da condizioni climatiche che superano i loro limiti di tolleranza. Per far fronte a questa situazione, molte città puntano ad aumentare la copertura delle foreste urbane piantando milioni di alberi. Ciò che preoccupa i ricercatori sono le possibilità realizzative di questi progetti e le condizioni nelle quali cresceranno i nuovi alberi. In Italia, l’obiettivo di tutela e valorizzazione del verde urbano ed extraurbano all’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza prevede la messa in dimora di 6,6 milioni di alberi nelle 14 città metropolitane, ma abbiamo i mezzi per raggiungerlo? Fino a quando gli alberi potranno aiutarci nel regolare la temperatura delle città e a ridurre la presenza degli inquinanti?
Migliaia di specie a rischio climatico
Per rispondere all’ultima domanda, alcuni indizi poco confortanti arrivano da un recente studio coordinato dagli esperti di ecologia urbana della Western Sydney University, che mostra come circa due terzi delle specie arboree presenti in città siano minacciate dagli stress climatici. Su Nature Climate Change, gli autori hanno valutato l’impatto del cambiamento climatico su 3.129 specie di alberi e arbusti che vivono in 164 città di tutto il mondo, registrate nel database Global Urban Tree Inventory (banca dati che raccoglie informazioni globali sulla flora arborea e arbustiva delle città).
Per farlo, i ricercatori hanno stabilito la tolleranza climatica di ogni specie presa in esame, considerando i valori di diverse variabili climatiche come la temperatura media annua e le precipitazioni annuali entro le quali gli alberi riescono a vivere in buone condizioni. È così emerso che il 65% delle specie di alberi e arbusti presenti nelle città di tutto il mondo stanno vivendo in condizioni climatiche al di sopra dei propri limiti di tolleranza naturali. Circa due terzi delle specie arboree urbane soffrono quindi l’esposizione agli effetti del cambiamento climatico e il loro ruolo ecologico di “mitigatori climatici” rischia di essere compromesso.
Il rischio per le foreste urbane inoltre non è uguale in tutto il mondo. Dallo studio emerge come, sebbene questo pericolo riguardi anche le regioni dell’Europa centrale e meridionale e dell’America settentrionale, è ai tropici e vicino all’equatore che gli effetti del cambiamento climatico creano le maggiori preoccupazioni. Gli autori hanno stimato infatti un alto rischio di mortalità per gli alberi delle città di India, Sud Africa, Nigeria, Togo e altri Paesi in via di sviluppo che, in base agli indici di vulnerabilità e resilienza stilati dall’Università di Notre Dame, negli Stati Uniti, hanno capacità limitate di mitigare gli effetti del cambiamento climatico sulle loro foreste urbane.
In futuro la situazione potrebbe anche peggiorare. Gli autori sono riusciti a indentificare infatti quali specie continueranno a sopravvivere nei futuri scenari climatici e quali invece saranno più vulnerabili di fronte all’aumento delle temperature. Complessivamente, entro il 2050 fino al 75% delle specie arboree e arbustive urbane sarà messo in pericolo dalle nuove condizioni ambientali.
“Sebbene siano delle previsioni, lo studio rivela dei dati preoccupanti”, commenta Francesco Ferrini, docente dell’Università di Firenze ed esperto di arboricoltura che non ha preso parte allo studio, spiegando quali rischi stanno correndo le piante degli ambienti urbani e non solo. “Le specie vegetali riescono ad adattarsi alle condizioni ambientali in cui vivono, ma per farlo hanno bisogno di centinaia se non migliaia di anni. Il cambiamento climatico, alla velocità con cui sta avvenendo, non lascia loro il tempo di evolversi in forme capaci di tollerare le nuove condizioni climatiche, rendendole così vulnerabili”.
Una prospettiva che sottolinea l’urgenza di un’ampia strategia di contrasto al cambiamento climatico, senza la quale qualsiasi piano di riforestazione e tutela del verde urbano potrebbe rivelarsi insufficiente, se non addirittura inutile. “Per rendere vincenti i programmi di riforestazione ci sono vari aspetti che dobbiamo considerare e comprendere in quali condizioni climatiche si troveranno gli alberi che vengono piantati è una priorità”, aggiunge Ferrini.
Le giuste condizioni, il giusto albero, il giusto posto
“Dobbiamo puntare per prima cosa a una stabilità climatica e per farlo è indispensabile ridurre le emissioni”, ricorda Ferrini, sottolineando come i progetti di riforestazione siano una parte della soluzione e non la sola cosa che possiamo fare. Senza una strategia parallela di contenimento del cambiamento climatico, le stesse condizioni che mettono oggi a rischio due terzi delle specie arboree urbane continuerebbero a esistere, minacciando anche i nuovi alberi. “È inutile piantare milioni di alberi se non riusciamo a garantirne la sopravvivenza”.
Serve poi effettuare una selezione delle specie da piantare, puntando su quelle che meglio tollerano determinate condizioni. “Specie pioniere come olmo, bagolaro, carpino nero e orniello sono buoni esempi”, afferma Ferrini. “Le vediamo comparire su terreni aridi dopo eventi avversi, come incendi e lunghi periodi di siccità, grazie a meccanismi fisiologici che permettono loro di superare condizioni più estreme”. Al tempo stesso si può lavorare per aiutare le specie che sono più in difficoltà. “Con gli studi sui meccanismi di tolleranza abbiamo osservato che alcuni individui, all’interno di una specie, hanno risposto meglio di altri alle condizioni avverse. Si tratta di favorire questi individui con selezioni mirate”.
La scelta del posto in cui piantare gli alberi poi è determinante per il successo di un progetto di riforestazione e le città sono fra gli ambienti più importanti in cui piantare gli alberi. È nelle aree urbane, infatti, che il loro contributo in termini di cattura del carbonio è più alto. Anche all’interno dei piani degli stessi piani di riforestazione urbana bisogna però operare delle scelte.
Per rendere veramente utili i 6,6 milioni di alberi per le città metropolitane previsti nel Pnrr, per esempio, servono alcune accortezze. Le città metropolitane includono Comuni minori che hanno già una superficie forestale sufficiente e piantare alberi in questi spazi, lontano dai grandi centri, potrebbe incidere ben poco. “Si deve intervenire invece direttamente nelle città, dove le ondate di calore sono più violente, dove maggiore è l’effetto isola di calore urbano – fenomeno microclimatico nel quale si registrano fino a 4-5 gradi in più nelle città rispetto alle zone periferiche e rurali – e dove la presenza degli alberi ha un’efficacia maggiore e immediata”, spiega Ferrini.
Poche risorse da usare bene
Capire dove è più urgente piantare nuovi alberi aiuterebbe inoltre a non disperdere le risorse vivaistiche, ben lontane dall’essere sufficienti per i programmi previsti. Un problema della strategia di tutela del verde urbano all’interno del Pnrr è infatti la reale disponibilità di nuove piante. “In Italia produciamo circa quattro milioni di piantine giovani ogni anno, ma la maggior parte sono già destinate ad altri progetti, come il ripristino delle foreste colpite dalla tempesta Vaia. Inoltre, si tratta principalmente di specie forestali, come alcune specie di abete, il larice, il pino cembro e il faggio, poco adatte quindi per rinforzare le foreste urbane”, spiega Ferrini.
Si potrebbe puntare su piante già adulte, ma anche qui le risorse sono poche e i problemi non mancano. “La produzione di piante adulte si aggira intorno ai cinque milioni di unità l’anno, ma almeno il 70% di queste è destinato all’esportazione. Inoltre, l’uso di piante adulte ha costi decisamente più alti che i fondi stanziati non riuscirebbero a coprire”, prosegue Ferrini. Per l’obiettivo di tutela e valorizzazione del verde urbano ed extraurbano sono stati stanziati 330 milioni di euro, cioè 50 euro a pianta. Una cifra che non permette di ragionare sull’uso di piante adulte.
La disponibilità vivaistica è quindi uno dei primi aspetti da affrontare per realizzare un progetto di riforestazione e richiede alcuni anni per farsi trovare pronti. Da questo punto di vista siamo ancora indietro, mentre il tempo per rafforzare le foreste urbane diminuisce.
Le città sempre più affollate hanno bisogno del verde urbano
Se ad oggi nelle aree urbane di tutto il mondo vivono poco più di quattro miliardi di persone, secondo le proiezioni delle Nazioni Unite entro il 2050 circa il 70% della popolazione mondiale vivrà nelle città, che saranno affollate da almeno sette miliardi di persone. L’urbanizzazione diffusa è riconosciuta come una delle cause che sta riscaldando le nostre città e in futuro quindi, per riuscire a limitare l’effetto isola di calore e a contenere le temperature degli ambienti urbani, la presenza delle foreste all’interno delle città sarà un aiuto prezioso.
Alcuni ricercatori dell’Università di Nanchino, in Cina, in collaborazione con i colleghi della Yale University, hanno dimostrato come la vegetazione urbana riesca a compensare parte del riscaldamento delle città. Utilizzando dati sulla temperatura della superficie terrestre di oltre 2.000 centri urbani di tutto il mondo, raccolti tra il 2002 e il 2021, gli autori dello studio hanno osservato come le città si stiano riscaldando in media di circa 0,5°C ogni decennio. Al tempo stesso, i ricercatori hanno anche scoperto come l’inverdimento urbano riesca a rallentare l’aumento della temperatura della superficie delle città e a compensare circa 0,13°C di riscaldamento per decennio.
Risultati che ribadiscono il ruolo strategico delle foreste urbane nella mitigazione del riscaldamento delle città, ma evidenziano come al tempo stesso gli alberi da soli non bastino per risolvere il problema dell’aumento delle temperature. Come dice Ferrini, “gli alberi da soli non sono sufficienti, serve un mix di soluzioni che permetta alle foreste urbane di svolgere il loro ruolo di mitigatori climatici”.