Il fotovoltaico in Africa potrebbe combattere povertà e cambiamenti climatici. Allo stato attuale due miliardi di persone non hanno accesso alla rete elettrica: utilizzano kerosene e legna per procurarsi luce e calore, combustibili fossili che producono tonnellate di anidride carbonica e fumi tossici. In Africa, serve luce, calore, energia per pompare l’acqua, caricare i cellulari, ascoltare la radio e pescare di notte, energia per le scuole, gli ospedali e i servizi comunitari. E se c’è qualcosa che in Africa non manca è il sole. Il fotovoltaico ridurrebbe la dipendenza dai combustibili fossili rendendo le comunità più indipendenti e in grado di svilupparsi e diminuirebbe fortemente le emissioni di gas serra. Il primo a introdurre il fotovoltaico in Africa fu nel 1077 il missionario Bernard Verspieren, fondatore di una scuola agronomica a Mali mettendo in funzione la prima pompa fotovoltaica. L’unico inconveniente di questi pozzi è che la luce solare ha fluttuazioni continue: corrente e potenziale aumentano e diminuiscono, il motore accelera e decellera in proporzione all’ora della giornata e alle condizioni metereologiche. Il motore non funziona di notte e gira lentamente in situazioni metereologiche di nuvoloso. Per ovviare a questi inconvenienti si utilizzano degli accumulatori per garantire la presenza di energia a tutte le ore. Nello stesso periodo una studentessa del Politecnico di Parigi, Dominique Campana, svolgeva la sua tesi di dottorato sulla possibilità di alimentare pompe con celle fotoelettriche. Dominique costruì un prototipo e riuscì a farlo funzionare in una regione molto arida della Corsica, con ottimi risultati. La notizia fece il giro del mondo. Numerosi sono i progetti umanitari che si impegnano ad aiutare le popolazioni ad acquistare pannelli fotovoltaici, uno di questi programmi è Solar Aid.
Fonte: Energia in tutte le sue forme.