Già negli anni ‘60 -‘70 la Walt Disney Corporation si confrontò con un problema ambientale: la costruzione di una stazione sciistica che avrebbe portato alla distruzione di una vallata selvaggia, Mineral King, situata nella Sierra Nevada. Ne nacque un acceso dibattito e, per contrastare la distruzione della vegetazione, l’organizzazione ambientale Sierra Club si oppose al progetto. Dopo una lunga battaglia da parte dei conservazionisti, la Mineral King Valley è stata annessa al Sequoia National Park nel 1978 con un atto del Congresso, che di fatto fermò il progetto della Walt Disney. Negli anni ’70, il piano della Walt Disney spinse il Prof. Christopher D. Stone a proporre per la prima volta l’idea di attribuire la personalità giuridica a tutti quegli “oggetti” dell’ambiente che vengono chiamati naturali. Il pensiero del Prof. Stone, nelle parole del filosofo Luc Ferry, era questo: «Il dibattito sui diritti degli alberi, delle isole o degli scogli, al di là delle sue stranezze, … non ha altro motivo: si tratta di sapere se è l’uomo l’unico soggetto di diritto o se, al contrario, lo sia ciò che oggi viene chiamato biosfera o ecosfera, e che una volta si chiamava cosmos».
Il progetto Tecla in 3D dell’architetto Mario Cucinella
Vorrei partire proprio da questo punto: chi rappresenta i diritti della natura in questa transizione/rivoluzione ecologica? Oggi il dibattito è tutto giocato nel campo degli interessi umani e non del pianeta. Troppo debolmente ascoltata la voce di tanti ambientalisti, associazioni e ricercatori da parte di un mondo che guarda prima di tutto agli interessi economici, ahimè di pochi. Un recente libro di Vandana Shiva, Il pianeta di tutti, spiega molto bene la situazione delle risorse globali in mano a pochi (1% della popolazione totale) che governano il mondo, mettendo in campo anche una sapiente comunicazione che distorce la verità ecologica. Pensiamo alla comunicazione ingannevole di alcune compagnie petrolifere, ad esempio, sul tema della riduzione delle emissioni o dell’uso di nuovi componenti rinnovabili. In questo caso, il dibattito che si è innescato riguarda le scelte che faremo a proposito dei diritti umani e di quelli della natura. Di fronte a questo, non possiamo vedere la transizione ecologica solo come un modo per compensare le nostre emissioni o per produrre più energia (a proposito del nucleare).
L’installazione dell’architetto Mario Cucinella per Audi a Milano
Il tema passa da un’azione sulla consapevolezza della scarsità delle risorse, alla necessità di attraversare un periodo che ci porti ad una sorta di pace con il pianeta. L’ecologia è una parola importante, come lo è sostenibilità, e andrebbe usata con moderazione, e cura. Per questo una più attenta politica ecologica non può non tenere conto dei diritti dell’ambiente. La ricaduta non è solo ambientale, di salvaguardia e di crescita dell’ecosistema, ma di natura sociale. E questo tema deve essere al centro della transizione ecologica. Questo viaggio, che durerà almeno 40 anni, deve cominciare proprio da una educazione fortemente orientata a questo tema. Possiamo anche accontentarci, in questo inizio, di alcuni paradossi, che non basteranno al cambiamento. Di fronte all’inquinamento degli oceani e ad una evidente e scientificamente provata perdita di fauna e flora causata da un azione sempre più pesante della pesca, la nostra reazione è, ad esempio, quella di realizzare scarpe con le reti da pesca disperse in mare; l’economia circolare in questo caso è un paradosso ambientale. È un modo di pensare che è ancora figlio di una visione produttiva, non ecologica. Di fronte al problema ecologico la risposta non è la salvaguardia, ma la produzione di oggetti che non dovrebbero esistere.
Le città hanno cominciato politiche di forestazione urbana, che è una cosa buona e giusta, ma non è mettendo alberi tra il cemento che combatteremo l’inquinamento, queste azioni aiutano a costruire un alibi, lontano da problemi difficili da affrontare, anche politicamente. Costruire non è un’azione sostenibile, per la semplice ragione che qualunque edificio nasce dall’uso di risorse primarie e da processi industriali altamente inquinanti. I dati non vengono esposti, solo annunci in cui si presentano edifici a impatto quasi zero. Questo non fa bene alla crescita di una nuova generazione di edifici. Parliamo di rigenerazione urbana che spesso si trasforma in gentrification, le città devono fare politiche di rigenerazione non solo per aumentare i valori immobiliari, ma per una crescita sociale. Detto questo, l’inverdimento delle città porterà benefici soprattutto sulla qualità della vita dei cittadini ma vanno accompagnate da politiche di mobilità, di servizi di prossimità, come dire, dobbiamo costruire un eco-sistema interconnesso. Le città non nascono sostenibili, sono nate con altre finalità e per degli ottimi motivi, non ultimo la socialità, la crescita culturale, le opportunità etc.
Studio dell’architetto Mario Cucinella (Carla Mondino)
E per questo, la sfida deve spostarsi soprattutto nella protezione delle campagne, della natura che circonda la città e i nostri eco-sistemi. La massa vegetale presente sul pianeta, secondo una stima recente, è di circa tre trilioni di alberi e ad oggi non è più in grado di assorbile le emissioni di CO2 che noi produciamo. Avremmo spazio per un 1,2 trilioni di nuovi alberi secondo l’ETH di Zurigo, ma non basterà a mantenere il business as usual! E allora, dovremmo ridurre le emissioni e fare delle rinunce, sprecare di meno, tornare ad una cultura che conoscevamo quando le risorse erano scarse e preziose. Le nostre politiche, anche quelle più virtuose, prevedono compensazioni piuttosto che una significativa riduzione delle emissioni e di sprechi. Continuiamo a consumare mensilmente nel mondo barili di petrolio, sembra difficile invertire la rotta e le azioni sulla transizione ecologica sembrano marginali di fronte alla vera scala dei consumi. Ma allora? Il dibattito rischia di essere unilaterale, sempre a favore degli interessi economici di pochi, e non dell’umanità. Noi, umani, siamo parte di un eco-sistema, di un equilibrio ecologico, di cui non siamo neanche la maggioranza, e se non intraprendiamo una forte azione educativa non arriveremo agli obiettivi. Cominciare ora a costruire una nuova cultura ecologica, una cultura del rispetto della vita, una cultura che vede nel progresso sociale, e non solo nello sviluppo economico, una via per una nuova era ecologica. Ricordo una frase nel libro Capitalismo naturale, di Hawken, A. e H. Lovins, il cui senso è che tutte le risorse economiche generate dallo sfruttamento del pianeta non saranno sufficienti a ricostruirlo. Come dire, è un viaggio con solo il biglietto di andata.
(*Mario Cucinella, 60 anni, è un architetto Fondatore e direttore creativo di MC A – Mario Cucinella Architects)