Qual è il contributo che può venire dalla transizione ecologica allo sviluppo economico?
In altre parole: qual è il potenziale di innovazione e competitività economica della green economy italiana? Domande che spostano in avanti la discussione pubblica, al di là delle ricorrenti forzature ideologiche di chi preconizza esiti catastrofici e bagni di sangue senza alcun dato scientifico a suo sostegno. E la novità sta proprio qui.
Il Centro ricerche Enrico Fermi (Cref), un nuovo nato delle eccellenze scientifiche italiane, seguendo le suggestioni delle ricerche avviate dal presidente del Centro sull’Economic Fitness and Complexity Luciano Pietronero, ha avviato uno studio scientifico sulla complessità dei sistemi economici di fronte alla sfida della sostenibilità. I primi risultati sono stati presentati oggi al Cnel in un evento organizzato dal Cref, dall’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna e dal Forum Disuguaglianze e Diversità.
Lo studio ci restituisce le prime informazioni scientifiche sul livello di preparazione di ogni Paese di fronte allo sviluppo ecologicamente sostenibile, identificando i settori tecnologici con maggiori potenzialità competitive. Mette a fuoco alcune caratteristiche dell’innovazione tecnologica green e le geolocalizza. Rende possibile scattare la fotografia di chi sta avanti e chi indietro e delle potenzialità di sviluppo.
La capacità di innovazione
Punto di partenza è la costruzione di una misura della potenzialità d’innovazione di un Paese e della sua competitività tecnologica (fitness tecnologica), realizzata incrociando i dati sulla brevettazione geolocalizzata con i settori tecnologici, così come classificati dalla Cooperative Patent Classification. Da qui la carta d’identità della green technology fitness, misura della competitività green e delle capacità di sviluppare sistemi d’innovazione green, che non è riducibile al numero dei brevetti, ma valuta la qualità e la rilevanza delle innovazioni prodotte.
Esiste una relazione sinergica, una vera e propria complementarità tra livello di sviluppo delle tecnologie tradizionali e lo sviluppo competitivo delle tecnologie verdi. Ed è molto significativo che la capacità d’innovazione tecnologica, sia tradizionale che green, cresce di più là dove decrescono le disuguaglianze. E viceversa: le forti disuguaglianze sono associate a costi più alti e ad incertezza nello sviluppo di nuove tecnologie e capacità green, mentre un basso livello di disuguaglianze permette anche a paesi con Pil intermedio di sviluppare tecnologie verdi complesse. In estrema sintesi si può dire che la fitness tecnologica è una misura indiretta della competitività industriale e ha un alto valore predittivo per lo sviluppo di settori innovativi.
Le mappe del successo possibile
L’insieme degli indicatori permette di costruire le mappe del livello di raffinatezza e sviluppo tecnologico dei Paesi e delle regioni. Un primo risultato è che i Paesi più competitivi sono quelli più diversificati nei settori tecnologici e che c’è una forte correlazione tra alto livello di capacità di innovazione (fitness tecnologica), e diffusione di tecnologie complesse.
E’ così possibile disegnare il quadro delle potenzialità di un Paese o di una regione.
Lo studio analizza i dati tra il 2000 e il 2016, periodo nel quale circa il 30% delle innovazioni verdi mondiali sono state sviluppate in Europa e la crescita dei brevetti verdi è superiore del 200% rispetto a quelli non verdi.
In cima alla classifica europea (l’Europa a 27 più Gran Bretagna, Macedonia, Montenegro, Norvegia, Svizzera e Turchia) per la produzione di brevetti verdi si colloca la Germania, che nei 16 anni considerati passa dal 56% al 46%, seguita da Francia (8% →17%), Gran Bretagna (8%→9%), Italia (3%→4%) e Spagna (2%→4%). Mentre in cima alla classifica della green technology fitness sono Germania, Gran Bretagna, Francia, Austria e Italia, con una generale crescita negli ultimi 15 anni per l’Europa orientale e meridionale.
A livello regionale nella top 10 della classifica della green technology fitness assieme all’Ile de France e alla Germania del Sud ci sono Lombardia ed Emilia Romagna.
E l’Italia?
In Italia il quadro delle capacità tecnologiche verdi, registrata dai brevetti, è concentrato per il 31% nel settore della riduzione dei gas serra nel comparto energetico (produzione, trasmissione, distribuzione). Con una forte presenza (18,8%) dell’ambito “generazione di energia da fonti rinnovabili” e “immagazzinamento di energia e idrogeno” (6,5%), a fronte di una presenza di tecnologie legate alla riduzione di emissioni nella generazione di energia nucleare ridotta all’1% dei brevetti verdi totali.
A seguire il settore della mitigazione del cambiamento climatico nei trasporti (19%), dove la quota più consistente è coperta dal trasporto su gomma (16,4% – tecnologie per batterie, veicoli elettrici e ibridi, per migliorare l’efficienza nei veicoli con motore a scoppio e per l’uso di carburanti alternativi). Poi ci sono l’edilizia (15%), la produzione di beni (15%), l’adattamento al cambiamento climatico (9%), la mitigazione delle emissioni nella gestione dei rifiuti (7%).
“Queste le specializzazioni in cui l’Italia già “sa far bene”, da qui occorrerebbe partire entrando nella corsa green, puntando a tecnologie mature, in linea con il know-how italiano preesistente”, sottolinea la ricercatrice Angelica Sbardella, tra i curatori della ricerca.
A livello regionale italiano, anche per la fitness tecnologica green la locomotiva è al nord: in testa Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto, seguite da Toscana e Friuli Venezia Giulia, che crescono rispetto al 2000, e dal Lazio, che subisce un leggero calo. Più netto il calo della Sicilia, mentre sale la Puglia ed è stabile la Campania, prima delle regioni del Sud. In fondo alla classifica Calabria, Basilicata, Valle d’Aosta e Molise.
A livello europeo 15 regioni si collocano nella metà superiore della classifica della competitività tecnologica green, di cui 7 nel primo quarto (erano 4 nel 2000): Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Valle d’Aosta, Toscana, Lazio, Alto Adige, con Lombardia e Lazio che sono le uniche due regioni a mantenere la posizione del 2000 nel miglior quarto tra le regioni europee. Anche qui la classifica è chiusa da Basilicata e Molise.