Transizione ecologica, un’impresa su due ha già scommesso sul green

10 Novembre 2022

Il sondaggio della Fondazione per lo sviluppo sostenibile presentato a Ecomondo

Tra una decina di giorni, alla conclusione della conferenza sul clima di Sharm el-Sheikh, sapremo se l’innovazione energetica ha guadagnato qualche punto o se uragani e siccità avranno il via libera. Ma l’Italia che ruolo ha in questa partita? Gli umori degli imprenditori emergono dagli Stati generali della green economy che si svolgono a Ecomondo, dall’8 al 9 novembre.

Da un sondaggio su mille imprese (grandi, medie e piccole, appartenenti ai principali settori) condotto dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e da Ernst&Young, risulta che più di 8 imprenditori su 10 ritengono necessaria la transizione ecologica. Ma fin qui siamo al politicamente corretto: un pio auspicio costa poco e fa fare bella figura. Quando però si tratta di mettere mano al portafoglio le cose si fanno più interessanti: gli imprenditori italiani si sentono più a loro agio in un sistema basato sul carbone e sul petrolio o in uno che scommette su rinnovabili ed efficienza? Dove mettono i soldi?

Ecco come la pensano gli intervistati. Quasi la metà delle aziende italiane (il 45%) utilizza risorse significative per attività della transizione ecologica: in particolare ha buone performance nel settore delle rinnovabili e dell’uso efficiente di energia e di materiali. Oltre un terzo (il 36%) è un passo indietro, ma si sta comunque dando da fare: ha avviato, anche se in misura ridotta, attività legate alla transizione ecologica e altre ne ha messe in agenda. Solo il 19% salta il turno e aspetta.

La ricerca offre anche il profilo di chi corre veloce. La categoria degli Advanced (il 45%) è concentrata principalmente nel Nord Italia e si rivolge per buona parte anche ai mercati internazionali. Si occupa soprattutto di energia e di gestione dei rifiuti.

Al secondo posto troviamo gli Starter. Le imprese che in campo ecologico sono in rampa di lancio. Hanno appena iniziato il percorso di transizione e sono impegnate soprattutto sul mercato nazionale: un mercato caratterizzato da segnali politici intermittenti, spesso poco coerenti, alle volte scoraggianti. L’ultimo gruppo è formato dai Delayed (19%), le imprese in ritardo nell’innovazione ecologica: sono principalmente aziende di piccole dimensioni, concentrate nelle regioni meridionali e attive sul mercato nazionale.

Tirando le somme complessive, si ottiene il quadro di un sistema imprenditoriale che ha chiara la necessità dell’innovazione ambientale, ma soffre il peso della burocrazia, la mancanza degli stimoli all’innovazione che altri governi hanno messo in campo, le difficoltà di finanziamento. Nel complesso il 55% degli imprenditori intervistati ha già adottato misure per usare in modo più efficiente energia e acqua, il 49% per ridurre e per riciclare i rifiuti. Altri stanno valutando l’utilizzo di fonti rinnovabili (34%), la riduzione delle emissioni serra (21%), il miglioramento della qualità ecologica dei prodotti e dei processi (22%).

“Questa indagine documenta un quadro dell’impegno delle imprese italiane per la transizione ecologica più avanzato di quanto diffusamente si ritenga”, commenta Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. “Non mancano difficoltà e ritardi, ma il quadro complessivo che emerge è un sistema delle imprese che sta affrontando la sfida della transizione ecologica come necessità ma anche come opportunità”.

Una disponibilità a investire che potrebbe aiutarci a sbloccare il sostanziale stallo dell’installazione di fonti rinnovabili. Alla disponibilità individuale corrisponde infatti un decennio in cui il ritmo di sostituzione delle fossili con l’energia pulita è stato molto fiacco, decisamente inferiore a quello della maggior parte dei nostri competitor.

“Il percorso verso la neutralità climatica, benché sia ormai un obbligo per i Paesi europei stabilito dal Regolamento 1119 del 30 giugno 2021, è poco delineato in Italia”, spiega la Relazione sullo stato della green economy 2022. “Manca ancora una legge per il clima e c’è un limitato coinvolgimento delle città, che dovrebbero invece giocare un ruolo di primo piano. Nel 2021 la quota di rinnovabili sul consumo finale di energia è diminuita: dal 20,4% del 2020 al 18,9%. Inoltre i dati del primo semestre del 2022 sono addirittura peggiori del 2021, con un calo della quota di rinnovabili di ben il 10% a causa dell’aumento ulteriore dei consumi di elettricità e di una forte diminuzione della produzione idroelettrica, non compensata dalla modesta crescita dell’eolico e del fotovoltaico”. Negli ultimi mesi è migliorato il ritmo di installazione delle rinnovabili, ma siamo appena a un quarto della velocità necessaria per raggiungere gli obiettivi europei.

 

 

Credits: https://www.huffingtonpost.it/dossier/terra/2022/11/09/news/transizione_ecologica_unimpresa_su_due_ha_gia_scommesso_sul_green-10593592/