La Basilica palladiana è in restauro dal 2007 e il cantiere, ancora aperto, rappresenta una golosa occasione di studio (…) Ci ha condotto ad una visita speciale l’architetto Andrea Piero Donadello. (…) Oltre alla bibliografia dell’architetto Donadello ha analizzato nell’archivio storico del Comune a Palazzo Trissino 20 faldoni di documenti, con l’occasione scansionati e trasformati in 20 dvd. (…) Studiando la Basilica e i suoi progetti ha fatto molte sorprendenti scoperte. «Nel momento in cui Palladio era presente in cantiere – inizia a raccontare Andrea Piero Donadello – e seguiva la realizzazione dell’ordine dorico della basilica a partire dalla Torre dell’orologio fino all’angolo verso la piazzetta, la controlla tutta. Andava nelle cave di Piovene Rocchette e, da buon architetto, sceglieva la pietre. Fino al 1549 erano quelle bianche (visto che la pietra di Piovene si trova bianca, gialla e rosa). Nel 1560 venne allontanato dal cantiere. Lo stipendio era molto basso, i suoi incarichi invece numerosi. E così, non si occupò più della selezione della pietra e le colonne nella parte superiore, anche dopo il restauro, evidenziano delle macchie rosa, mentre quelle della parte inferiore sono perfettamente bianche». E questo manifesta come chi prese le redini del cantiere non andasse per il sottile nello scegliere i materiali. «Il secondo dato emerso – continua lo studioso – riguarda l’intonacatura della volte, elemento sul quale si incentra il dibattito in città. Finché Palladio era presente, faceva realizzare un dettaglio costruttivo che serviva per appoggiare l’intonaco sull’arco della serliana per intonacare le volte, cosa che poi non venne più fatta. Questo denota anche una grande precisione in quanto il pezzo non è di un centimetro ma è strutturale, quindi Palladio aveva, oltre ad una grande sapienza progettuale, una profonda conoscenza del cantiere. Questo risulta dall’osservazione della fabbrica quando si è in loco». «Terzo aspetto che emerge dagli studi – racconta ancora l’architetto Donadello – è che i disegni relativi alla basilica di Andrea Palladio pubblicati nei suoi Quattro Libri sono quelli che poi vengono realizzati nella fabbrica e non sono delle visioni ideali, come invece si era sempre sostenuto in letteratura. Primo, perché lui stesso lo dice. Poi, prendendo il rilievo geometrico e sovrapponendolo al disegno palladiano, questo torna perfettamente. Per Palladio il controllo era anche sulla posa in opera. Inoltre, con la Basilica va contro la sua idea di architettura, negando quello che ha appena scritto nel Primo Libro, ossia che l’ordine dorico deve avere una data altezza, mentre quello ionico deve averne un’altra, mentre qui non lo può fare perché deve realizzare un’architettura con delle misure che devono rispettare quelle del salone preesistente. E lui gioca con queste misure e lo dichiara: «tutte le misure sono adatte ai loro luoghi» e non secondo la proporzione esatta stabilita nel suo “manifesto” dell’architettura». «Quinto aspetto – lo studioso prosegue con la sua esposizione. arco, serliana, Palladio sostiene che l’arco deve essere fatto in 4 elementi oltre alla chiave, cosa che in realtà esiste solo nell’ordine inferiore, quindi nella parte dell’edificio di cui Palladio ha seguito il cantiere». Altra vicenda interessante è quella che riguarda il colore verde rame della copertura della basilica, che non è quello originario, grigio piombo, uguale a quello del Palazzo della Ragione di Padova. Cosa successe? «Un certo architetto Bartolomeo Malacarne nell’ottocento – Donadello ci svela gli antefatti – fu incaricato dal Comune di studiare le deformazioni della copertura. Questi arriva ad affermare che i grandi archi in legno sono gravati dal peso delle lastre in piombo e dice che per porre rimedio a questo danno bisogna sostituirle con lastre in rame. Lastre che poi fece arrivare dalle miniere di Agordo; così dal 1829-30, periodo in cui il lattoniere Girolamo Viani va a posare la copertura. Da allora la Basilica è come ci appare».
Fonte: Il Mattino di Padova