Abstract
Introduzione
Colloto è un antico aggregato rurale (612 m s.l.m.) situato nei pressi della località Mozzano a circa venti minuti dal centro storico di Ascoli Piceno. Il paese si raggiunge percorrendo la antica Via Salaria da Ascoli in direzione Roma: superato Mozzano si imbocca il bivio a sinistra dopo Taverna di Mezzo e si seguono le indicazioni per Cervara. La strada è ripida e tortuosa e sembra portare in nessun luogo se non a piccoli appezzamenti coltivati nonostante il terreno aspro ed in declivio. Percorsa l’ultima curva, questo è lo scenario.
Vista d’insieme del nucleo rurale arrivando da Ascoli Piceno.
Il borgo rurale si sviluppa su un crinale che scende verso il fosso Rio Lungo e fino agli anni ’50 era abitato da famiglie dedite all’agricoltura, in particolare alla coltura della vite ed alla vinificazione di un assai gradevole rosato, al pascolo, all’allevamento, al taglio del legname di castagno ed alla raccolta delle castagne stesse, che venivano conservate sui soppalchi in legno presenti in ogni unità abitativa e situati all’ultimo piano. Il castagno era utilizzato anche come componente dell’edilizia, vale a dire per gli infissi, come architrave delle aperture, per le coperture alla fornaciara (tavolame e coppi), per i soppalchi stessi e per i cosiddetti “bufili”, ballatoi coperti esterni alle abitazioni utilizzati come percorsi di distribuzione ai piani alti. Ogni abitazione era dotata di un forno in pietra o in laterizio e di un camino, sovente nella medesima stanza, il soggiorno, in cui si ritrovava la famiglia al ritorno dal lavoro della campagna. Gli edifici sono per la maggior parte in muratura a sacco: in pietra arenaria il paramento esterno e cocci in laterizio, terra e calce il sacco interno. Le scale, interne ed esterne, sono in gradini di arenaria o travertino monolitici. Ogni edificio è composto da più unità abitative appartenenti a diversi nuclei familiari e di diversa proprietà: il nucleo è dunque composto da tanti “pseudo-condomini”, ed è attualmente disabitato, anche per la notevole difficoltà di restauro e recupero a causa del difficile reperimento degli attuali proprietari, emigrati in America o frutto di innumerevoli successioni e frazionamenti catastali. Catastalmente Colloto è ancora parte del Catasto Terreni, quindi non esistono planimetrie interne corrispondenti ai singoli mappali; ne segue un’estrema difficoltà di reperimento dei dati riguardanti le attuali proprietà.
Notizie storiche (estratto dall’autore Augusto Piccioni, www.cervara.net)
“Avrà avuto origini importante e lo si può dedurre dalla fattezza delle case, dai portali e dalle numerose scritte che vi compaiono e anche dalla presenza di un “castello”, ora completamente distrutto, sulla cima del Pizzo di Colloto. Convaliderebbe l’ipotesi anche il fatto che ad uno di questi paesi, cioè Lisciano, è stato dato l’attributo di Colloto pur avendo esso nelle vicinanze Mozzano ed altri paesi come Pedana, Pianaccerro e Colonna che sono più vicini di Colloto. I Guiderocchi, nobile famiglia ascolana che nel medioevo era proprietaria della maggior parte di questi luoghi montani, donarono in parte ed in parte vendettero il territorio di Colloto alla città di Ascoli; questo avveniva, presumibilmente, tra il 1100 e il 1290. Il 5 febbraio 1350 gli abitanti di Colloto e di altri luoghi montani parteciparono all’insurrezione contro il dittatore di Ascoli Galeotto Malatesta e nel 1571 parteciparono alla battaglia di Lepanto insieme a quelli di Cervara, Colonna, Talvacchia, San Gregorio e Spelonca. Colloto, come Cervara, Colonna, Lisciano e Pianaccerro, già nel 1500 era una villa ascolana. Faceva, cioè, parte, come le altre quattro, della comunità di Ascoli Piceno e dipendeva direttamente dalla sua municipalità. Nel 1790 la sua popolazione era composta da 13 famiglie.”
Università degli Studi di Camerino – Corso di Laurea in Architettura A.A. 1998/99
Tesi in: Conservazione e riqualificazione tecnologica degli edifici storici
Titolo: Conservazione e riqualificazione tecnologica del nucleo rurale di Colloto, comune di Ascoli Piceno.
Relatori:
– Progettazione: Arch. Danilo Guerri
– Rilievo urbano: Arch. Elena Ippoliti
– Coordinamento: Prof. Arch. Giovanni Guazzo
Per spiegare il perché di questo lavoro, devo cominciare dalle motivazioni che mi hanno guidato a scegliere un borgo rurale abbandonato come argomento di tesi.
Il mio interesse era inizialmente rivolto alle dimore rurali marchigiane, e avevo intenzione di svolgere un lavoro di ricerca e di catalogazione tipologica e morfologica sulla casa rurale nelle Marche. Dopo aver studiato i testi esistenti, ho invece deciso che per andare nella direzione del recupero del patrimonio rurale, una tesi di ricerca non sarebbe stata utile. Piuttosto, lo sarebbe stato studiare un campione definito in modo esaustivo. Dopo aver analizzato una serie di case isolate nel territorio ascolano, mi sono orientata verso i nuclei rurali d’alta collina, di cui non troviamo documentazioni che ne descrivano le qualità e la ricchezza. In tali borghi, infatti, ritroviamo un modo immediato di fare architettura, ricco di elementi contenuti, che nella loro poca appariscenza definiscono un tessuto di costruzioni che si inseriscono armoniosamente nel paesaggio collinare. Quello che voleva inizialmente essere uno studio generale sulla casa rurale, è diventato un intervento di recupero e di riuso di un solo nucleo, con le proprie peculiarità ed i propri limiti.
Questo studio non ha dunque una valenza di tipo generale, proprio perché ho voluto scegliere di affrontare tecnicamente problemi di recupero e di riqualificazione riferiti ad un nucleo con una propria morfologia, tipologia e caratteri costruttivi. Le soluzioni proposte non possono che avere, dunque, un carattere particolare, perché pensate per un tema particolare.
Per prima cosa, ho affrontato il rilievo dell’oggetto studiato, passando dalla scala del rilievo urbano fino al rilievo del particolare. Nella restituzione grafica dell’oggetto, il rilievo fotografico è stato di fondamentale importanza, permettendomi di ricostruire prospetti e sezioni di insieme. Nel rilievo, ho voluto porre maggiore attenzione agli elementi costruttivi e di finitura che si ritrovano nel nucleo, soprattutto per la loro semplice espressività. Inoltre, mi è parso significativo restituire i componenti fondamentali della vita contadina: il focolare, il forno e i fornelli come centro della famiglia e delle tradizioni contadine. Nel rilevare gli elementi che costituiscono il nucleo, sono emersi parallelamente i temi e le suggestioni del progetto.
Per riqualificare questo insieme di edifici e di vani abbandonati da ormai cinquant’anni, si è dovuto fare i conti con le esigenze attuali, senza tuttavia tralasciare il rispetto dell’esistente. Il progetto consiste in tre tipologie di intervento: il recupero per il riuso, cioè l’adattamento delle abitazioni contadine alle esigenze dell’abitare odierno; il rispetto degli elementi che testimoniano usanze e tradizioni della vita rurale; la riqualificazione delle aree interessate da demolizioni, con l’inserimento di volumi compatibili con l’antica volumetria.
Per quanto riguarda la prima tipologia di intervento, le abitazioni sono state pensate come residenze temporanee, atte ad accogliere qualunque tipo di incontro o organizzazione. Gli ambienti di soggiorno sono stati pensati perché possa utilizzarli più di un nucleo familiare. Inoltre, i soppalchi esistenti, che si utilizzavano per la conservazione delle castagne, hanno suggerito l’utilizzazione degli spazi su più livelli, definiti da tecnologie povere e leggere.
Se dovessi sintetizzare il significato dell’intervento, definirei il nucleo come un grande condominio, in cui spazio pubblico e privato sono in stretta co-relazione senza però sovrapporsi. L’intervento ex-novo, adibito a centro sociale, si aggancia infatti ai volumi esistenti senza modificarne i caratteri, e dialoga con la residenza temporanea mediante i diversi accessi del borgo. La stanza della cottura, invece, diventa il perno dell’intervento, punto da cui si snodano i due progetti e le due tipologie di intervento: il riuso ed il recupero. La cucina, rimessa in funzione senza cambiarne i caratteri, rimane come testimonianza di una tradizione che non si può musealizzare, ma non si deve dimenticare.
Bibliografia
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Augusto Piccioni (a cura di): www.cervara.net