Ex Casa del Fascio di Predappio. Ipotesi di Restauro e Consolidamento

Ex Casa del Fascio di Predappio. Ipotesi di Restauro e Consolidamento

Relatore: Prof. Arch. Silvio Van Riel
Correlatore/i: Arch. Ridolfi Alberto
Laureando/i: Rocchi Michele, Taddei Filippo
Anno accademico: 2002/2003

Abstract

 

Casa del fascio

 PREDAPPIO NUOVA

Lo spostamento dell’ abitato deciso nel 1924 da Predappio alla piccola frazione di Dovia anticipa la fondazione delle città di bonifica nell’ Agro Pontino. Lontano dai 180 giorni in cui vede la luce Sabaudia, la storia di questa vicenda costruttiva copre un arco di quindici anni. Concepita nella mente di Benito Mussolini come luogo di culto della propria personalità, il pretesto per mettere in atto questa idea fu l’inserimento di Predappio negli elenchi governativi stilati per i centri abitati, che per le cattive condizioni dei terreni sui quali sono costruiti, necessitano di uno spostamento tutto a carico dello Stato. Dopo qualificate e direzionate indagini geologiche e l’inefficacia degli interventi prodigati ai rovinosi corsi d’acqua viene decisa in maniera improrogabile, sottolineando la massima urgenza, la realizzazione. L’intera vicenda dello spostamento venne affidata per la progettazione alla tutela del Genio Civile di Forlì, che compilò la stesura del piano impostandolo, dato gli input inamovibili, su episodi nodali tangenti all’asse stradale di fondovalle, con una logica tutta ottocentesca, sottolineata da un linguaggio architettonico eclettico, fondato sugli stilemi più ovvi della ricostruzione postunitaria. Connotate nel loro accademismo da una profusione di richiami neocinquecenteschi che male si prestavano a rappresentare le iniziali intenzioni programmatiche del nuovo centro.

Florestano Di Fausto, giovane architetto ed ingegnere romano, viene incaricato nel 1926 dal Capo del Governo di ridisegnare la nuova borgata, in modo che possa esprimere al meglio il suo ruolo ufficiale di nodo rurale e di scambio per l’intera vallata del Rabbi.A Predappio è la strada e nella fattispecie quella provinciale di fondovalle l’elemento fondante dell’impianto urbano, su cui si ergono, isolati, gli edifici funzionali alla vita del paese e da cui si genera una lottizzazione a scacchiera per i blocchi residenziali.
Di Fausto considera Predappio come una borgata rurale e rurale deve essere lo stile proposto per le architetture del nuovo abitato anche se permeato di un radicato eclettismo, tutto teso a ricercare una propria originalità.
Predappio nel biennio 1933-34 è pronta ad accogliere quella architettura monumentale e celebrativa che si fregia del titolo di vera architettura fascista; fra le varie costruzioni troviamo la Casa del Fascio, opera dell’ingegnere Arnaldo Fuzzi, l’albergo “Appennino” di proprietà I.N.A. e dell’ ampliamento della caserma dei carabinieri.
Ricordiamo inoltre la Casa del G.I.L., progettata da Cesare Valle e la Chiesa parrocchiale dedicata a Sant’Antonio la cui costruzione venne affidata a Cesare Bazzani. Predappio possiede dunque alla fine del 1937 tutti i contenitori che caratterizzavano la celebrazione del potere, funzionali al suo ruolo precipuo di terra di culto.  PREDAPPIO NUOVA
Lo spostamento dell’ abitato deciso nel 1924 da Predappio alla piccola frazione di Dovia anticipa la fondazione delle città di bonifica nell’ Agro Pontino.

LE CASE DEL FASCIO

Il fascismo dopo la presa del potere, attuò una serie di iniziative politiche e sociali che dovevano potenziare il controllo territoriale e consolidare il consenso: vennero così costruiti l’ONMI (Opera Nazionale Maternità e Infanzia), l’ONB (Opera Nazionale Balilla) poi assorbita dalla GIL (Gioventù Italiana del Littorio), l’OND (opera Nazionale del Dopolavoro), l’ONC (Opera Nazionale Combattenti) e ancora le Colonie Marine, le Case Balilla; uno dei più importanti di questi apparati ideologici e sociali furono le “Case del Fascio” nate per iniziative locali, per lo più a carattere provinciale, iniziative che è facile immaginare, trovavano sollecita adesione da parte delle amministrazioni comunali e delle istituzioni statali che, anzi, spesso erano le più solerti promotrici. Gli aderenti al fascismo che agli inizi si riunivano clandestinamente in locali nascosti, ora vedevano istituzionalizzato il loro credo: le case del Fascio, che soppiantavano i covi, erano la celebrazione concreta e definitiva del raggiunto potere e della adesione della massa allo stesso ideale e volevano essere la versione adeguata di quei poli nati alla fine dell’Ottocento con finalità sociali quali le “Case del Popolo” o le “Camere del Lavoro”.
Le case del Fascio rappresentavano dunque il nucleo di riferimento fisico e ideologico del potere. In esse confluivano le attività nelle quali il partito si riconosceva e che sollecitava come mezzo di propaganda: gli uffici del Partito,gli spazi dedicati all’educazione giovanile, la sede del dopolavoro; “l’edificio deve risultare come la basilica dell’antichità in cui gli affari politici, religiosi e sociali trovano il naturale luogo di trattazione”(G.Bardi in un articolo in Quadrante, 1936).
La Casa del Fascio svolgeva anche il ruolo di monumento votivo dove l’ideologia del partito, opportunamente mitizzata, diveniva simbolo e memoria; per espresso volere del Duce, infatti, ognuno di questi edifici doveva essere un sacrario dedicato ai martiri della rivoluzione. Come la casa d’abitazione è il simbolo della famiglia, così la Casa del Fascio, è l’espressione del regime fascista, ed è frequentata dal popolo, in quanto ad essa ogni fascista si sente legato da sentimenti di paternità per la sua opera di attore della rivoluzione e da sentimenti di figliolanza per la sua condizione di gregario che ubbidisce al capo.Il cameratismo è il grande fattore che giustifica l’affollamento della Casa del Fascio, centro di tutti coloro che hanno una stessa fede politica nello stesso modo che una chiesa è per i credenti, il luogo naturale di ritrovo. Dopo l’ottobre del ’22 il fascismo con i suoi uomini e attraverso i suoi istituti, ha preso direttamente la guida del popolo italiano diffondendo la sua dottrina e la sua legge, formatrice di nuovi costumi di vita.
Le Case del Fascio sono dunque strumento per il controllo della vita politica e civile della Nazione; il gerarca è a capo di una di esse e svolge il ruolo di “mediatore” fra popolo e governo, fra individuo e Stato.
La Casa del Fascio è dunque per la sua importanza politica ed etica, il nucleo della città nuova. Così considerata essa richiede, nella sua veste esteriore e nella disposizione funzionale degli ambienti, nuove forme architettoniche, attraverso le quali possa assumere una certa fisionomia estetica, tale da farla distinguere a distanza, come l’antico palazzo comunale o gli edifici destinati alle pratiche religiose.
Come ogni altro edificio destinato alla collettività, la Casa del Fascio, è espressione purissima di architettura; e quando si dice architettura si dice arte, a dispetto di chi vede in essa soltanto una scienza.
L’edificio è pensato prima rispetto al suo scopo e alla fisionomia estetica che deve possedere, poi come insieme di elementi costruttivi; così l’architettura diventa l’arte di ideare il carattere estetico di tutte le cose destinate alla vita attiva degli uomini, mentre i problemi della costruzione si riducono al fatto di recingere e coprire determinati spazi nel modo più razionale, cioè più aderente agli scopi per i quali sono ideati.
Nei primi anni trenta una costellazione di case del fascio punteggiò anche tutto il territorio della provincia di Forli; le diverse dimensioni delle costruzioni rispondevano alle esigenze di ogni singola località; per quanto modesta la casa non doveva avere né l’aspetto del circolo ricreativo né quello del villino e nemmeno contenere riferimenti agli stili del passato, ma possedere assolutamente un elemento di per sé monumentale, la torre littoria.
Simbolo di potenza, corrispondente ad un’architettura “virile e modernissima”, la torre doveva essere alta e posta bene in vista, per non essere confusa con una semplice torretta o apparire elemento estraneo alla composizione d’insieme.

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