Abstract
Tra ‘800 e ‘900 il territorio della marina in alcune località italiane, come anche in altri paesi europei (Inghilterra, Francia, Belgio, Olanda), diviene oggetto di rilevanti trasformazioni fisiche. Cessa di essere una risorsa d’esclusiva rilevanza naturale, scarsamente interessata da interventi antropici; acquista un valore di mercato e viene investito da processi d’urbanizzazione progressivamente crescenti, che si sviluppano in rapporto ad una domanda d’élite caratterizzata da una marcata omogeneità sociale. Alla base del successo delle città di vacanza nell’800, che si organizzano come vere e proprie ipotesi urbane, vi sono il rifiuto degli aspetti degenerativi della città industriale (il fumo, lo sporco, il rumore, la violenza delle macchine, l’uniformità dei quartieri), l’aumentata mobilità delle classi abbienti e non secondariamente l’affermazione della cultura igienista, già prefigurata e in parte costruita dal razionalismo settecentesco. Nelle città costiere dove sono presenti, gli ospizi marini, insieme agli stabilimenti balneari, costituiscono episodi edilizi in grado di influenzare, in molteplici casi, le caratteristiche insediative delle successive espansioni urbane, in rapporto all’alto valore di posizione di cui godono questi edifici. La natura conflittuale del rapporto tra l’assistenzialismo filantropico degli ospizi marini e il turismo d’élite dei villini, viene preannunciata a Rimini fin dalla costruzione dell’ospizio Matteucci (1870). In consiglio comunale la relativa richiesta d’acquisizione gratuita di terreno, avanzata dal dott. Matteucci (un’area dalla foce dell’Ausa estesa verso sud per 300 m) viene accolta, ma con una riduzione a soli 100 m di fronte del lotto (circa 10.000 mq) e distante circa 300 m dall’Ausa e 1 km dallo stabilimento bagni; in tal modo la relativa distanza dell’ospizio dalla foce del torrente non avrebbe influenzato negativamente l’afflusso dei villeggianti, la cui passeggiata trova in quel luogo il suo naturale punto d’inversione. Tuttavia gli ospizi marini, per gli aspetti economici, occupazionali e promozionali a loro connessi, vengono considerati una risorsa che la città non può permettersi di lasciare ad altre località. Tutta la costa Romagnola da Ravenna fino a Cattolica, durante il ventennio fascista, diviene uno tra i luoghi più accreditati per la costruzione di colonie per le federazioni fasciste del nord-Italia. Il timore che la presenza di colonie marine, possa costituire un freno, alla costruzione di ville e pensioni e svalutare gli arenili e i fabbricati limitrofi esistenti, spinge i maggiori Comuni della riviera a confinarle in aree periferiche del proprio territorio, “… lontano dai centri d’agglomerato cittadino e da ville al mare …”