Abstract
Premessa
Il complesso edilizio denominato Palazzo Ghetti, eretto nella seconda metà del XIX secolo dal Cav. Nicola Ghetti, è inserito nel tessuto storico di Rimini, e più propriamente in uno degli antichi borghi sorti in prossimità delle maggiori vie di comunicazione, in questo caso della consolare via Flaminia, e si affaccia con la sua parte più rappresentativa sullo stesso asse viario, a poche decine di metri dall’Arco d’Augusto.
L’immobile fu costruito per assolvere a due funzioni principali, da una parte quella di fabbricare fiammiferi, fiorente attività dell’epoca nel circondario riminese, dall’altra quella di fungere da residenza padronale. Attualmente è destinato a civile abitazione e laboratori artigianali.
Il fabbricato è di forma quadrilatera ed occupa lo spazio di un lotto, delimitato ai lati minori da due vie di scorrimento principale sulle quali sono situati gli accessi principali. L’ingresso nobile è situato come già detto sull’ultimo tratto della via Flaminia, oggi via XX Settembre, ed immette nel corpo di fabbrica principale e più antico.
Note storiche
Nel 1837, dunque, Nicola Ghetti (1813-1883) fonda una fabbrica di fiammiferi che ha dopo la fase iniziale un buono sviluppo, dà lavoro a circa 400 persone e riesce a sfruttare ampiamente il ritrovato del suo fondatore “di sostituire nella fabbricazione de fosforo micidiale altra sostanza innocua ed insieme di sicurezza, non essendo accensibile per qualunque leggero stropicciamento. Onde ai suoi fiammiferi venne il titolo di nuovi fiammiferi alla Ghetti, innocui e di sicurezza, e a lui inventore (andò) il brevetto e la medaglia dell’Istituto di Scienze ed Arti”.
Tuttavia, Nicola Ghetti dovrà affrontare una dura polemica con gli organi dell’amministrazione comunale che sovraintendevano alla sanità pubblica, per la pericolosità da essi rilevata, della lavorazione del fosforo bianco, o anche detto giallo, nella fabbricazione dei fiammiferi. Ancora nel 1872 era possibile leggere queste considerazioni in margine alla relazione igienico-clinica sulla necrosi fosforica del Dott. Bellini, in riferimento alle condizioni di lavoro nell’opificio del Ghetti, estratto dallo Sperimentale pubblicato a Firenze nel 1867: “D’altronde non bisogna dimenticare che i proprietari delle fabbriche industriali non hanno in genere dinanzi agli occhi altro che il guadagno, e nulla si curano della salute di chi coi propri sudori fa loro impinguare la borsa, ed è noto come in Inghilterra la legge appunto per questa ragione è dovuta intervenire sovente per limitare il numero delle ore del lavoro negli opifici, e per fissare le condizioni di età della ammissione specialmente dei giovanetti che vi vogliono essere impiegati”. Comunque va detto che Nicola Ghetti veniva considerato un “progressista” e un generoso filantropo.
Nel 1842 con i proventi della ben avviata attività di produzione di fiammiferi, situata nel borgo orientale della città, denominato Borgo “San Giovanni”, dà inizio alla costruzione del palazzo residenziale ed insieme fabbrica, detto appunto “Palazzo Ghetti”, poco distante dalla chiesa parrocchiale dedicata a S.Giovanni Battista, ampliandola ulteriormente nel 1850.
Nel 1883 accade un fatto drammatico; Nicola Ghetti, oramai ricco, famoso e benemerito cittadino, viene ferito gravemente nel suo studio, da un colpo di pistola sparatogli a bruciapelo da un congiunto, apparentemente per una lite banale; più verosimilmente i moventi potrebbero essere stati altri, come ognuno si può immaginare. Per quanto riguarda poi l’attività della Ditta di fiammiferi Ghetti, dopo la morte del fondatore, in seguito alla variazione del mercato ed alla evoluzione tecnologica del prodotto, questa subisce più di un rovescio, tanto che a cavallo del passaggio di secolo, la produzione cala drasticamente e la fabbrica di fiammiferi di legno, nata nel 1837 ad opera di Nicola Ghetti, sarà infine acquisita da una società di fiammiferi milanese.
Il Palazzo e la sua storia
Pochi sono i documenti storici relativi al “Palazzo Ghetti”. Ciò che conosciamo lo dobbiamo a notizie indirette riferite a testimonianze storiche dell’epoca, per altro scarse, o a studi di carattere storico generale.
In particolare è da citare il capitolo L’arte e il patrimonio artistico, ne la Storia di Rimini, vol. III, 1978, a cura di P.G. Pasini. Nel testo si attribuisce all’architetto Giovanni Benedettini il progetto del “Palazzo Ghetti” e della elegante facciata, nonchè il suo esordio nel 1838 con un progetto per il teatro di Rimini che dovette essere apprezzato, perchè gli venne affidata la direzione dei lavori di costruzione del teatro, dal Poletti stesso, nel periodo che va dal 1843 al 1849. Oltre agli interessi legati alla architettura teatrale e all’opera in qualità di ingegnere comunale, presso il comune di Santarcangelo di Romagna, il Benedettini esordì con una opera autonoma, veramente impegnativa, realizzando il palazzo Comunale di Santarcangelo (1848-59), per il quale forse si giovò di suggerimenti e consigli del Poletti stesso. Dal Poletti comunque sono tratte le forme e le proporzioni del loggiato del piano inferiore; il piano superiore è diviso in cinque parti da lesene giganti, secondo un motivo che ritornerà simile in quasi tutti gli altri edifici del nostro architetto, sopratutto nella fabbrica Ghetti, che qui ci interessa da vicino, e nel palazzo della Cassa di Risparmio (1864) a Rimini, ma con minore sobrietà, arricchito da cornici e fregi in terracotta di gusto anticheggiante, cioè meandri, greche, palmette, gli stessi che già da qualche tempo costituivano il repertorio decorativo offerto dai manuali accademici del tempo. La novità, peraltro molto relativa, delle opere del Benedettini consiste probabilmente in una maggiore resa scenica delle decorazioni che corrompono la compatta geometria delle facciate ispirate ad esempi forse più neo-rinascimentali che neo-classici, e comunque scolasticamente più corretti di quanto non facessero gli architetti suoi contemporanei.
Occorre osservare, come afferma G. Pasini, nel suo studio, già citato, sul patrimonio artistico del nostro territorio nel secolo scorso che: “…gli architetti riminesi dopo l’arrivo del Poletti divennero in gran parte “polettiani”, almeno nel senso che si misero ad usare con una certa frequenza atri a loggia, colonne “libere” perfettamente tornite e ordini classici più o meno rigorosamente stilizzati.
Tra le opere del Benedettini, che proprio per la lezione del Poletti e la loro ricchezza di decorazioni “moderne” dovettero essere bene accette all’ambiziosa borghesia cittadina, costantemente alla ricerca di decoro e di prestigio, noteremo particolarmente la facciata del palazzo Zollio-Ripa sul Corso (1849) e la fabbrica Ghetti nel Borgo S. Giovanni. In quest’ultima sono notevoli la successione degli spazi cortilizi e gli anditi su colonne e pilastri che li dividono, con un effetto scenografico; è interessante anche notare come l’apparato decoratico della facciata, che naturalmente costituisce la parte di “rappresentanza”, scompaia completamente sui fianchi e all’interno dei cortili, estremamente sobrii, funzionali non più al “bello” ma all’ “utile”; l’edificio non era, del resto, che una fabbrica: una “Fabbrica di Zolfanelli fosforici” (“innocui e di sicurezza”), che nel 1864 teneva occupate oltre trecento persone.
Il linguaggio ecclettico e le preferenze rinascimentali del Benedettini dovevano risaltare ancor più vivamente nelle opere di piccola mole, che purtroppo sono andate perdute.
“Il Benedettini, come altri architetti dello stesso periodo, appartiene “alla corrente dell’ecclettismo romantico fiorente in Europa sulla metà dell’Ottocento; i loro gusti, la loro cultura sono quelli di tutta una civiltà architettonica (e non solo architettonica) in crisi, che negli stili del passato cerca modelli da proporre all’ambizione di una società borghese in continuo sviluppo. Il loro limite provinciale si avverte, meglio che nella modestia formale delle opere in disuso, nell’insensibilità al “gotic revival” che è una componente essenziale dell’ecclettismo europeo; una insensibilità però che fu proprio, di tutto l’ambiente riminese, anche nelle sue componenti più colte, arroccato su posizioni conservatrici e chiuso ai “barbarismi stranieri”; così si esprime il Pasini nella già citata Storia di Rimini.. ecc., volume III, pagg. 52-53.
Nel corso degli anni il palazzo Ghetti subisce alterne vicende. Dopo la morte del suo proprietario e fondatore, la fabbrica viene venduta, come abbiamo detto, a una ditta di Milano.
In seguito cambia la sua destinazione d’uso come si rileva dalle Memorie di L. Contessi, divenedo, tra l’altro, sede di una segheria a vapore.
Verso il 1900 il Palazzo, rilevato dal Comune di Rimini, sta per essere acquistato da Don Maccolini con l’intento di farne la sede del movimento salesiano. La trattativa però sfuma.
Nel 1906 il terremoto che colpisce Rimini, semidistrugge la caratteristica torretta che verrà in seguito demolita.
Nel tempo, il palazzo Ghetti viene ad assumere sempre più una funzione abitativa; e tale è rimasta fino ai giorni nostri, fatta eccezione per una bottega artigiana di falegnameria sita al piano terra, ultima testimonianza delle funzioni commerciali di un tempo.
Conclusioni
Da alcuni anni il Palazzo, che per la sua gran parte richiede interventi di consolidamento strutturale e risanamento, è divenuto di proprietà comunale e nella zonizzazione del piano regolatore la sua destinazione d’uso ne prevede l’utilizzazione come sede per servizi od enti pubblici, fermo restando, come principale discriminante, il percorso che attraverso l’edificio ed i cortili interni mette in comunicazione il palazzo con il borgo da un lato, ed un’area verde attrezzata dall’altro.
D’altra parte l’edificio, sia per l’impianto a corte che per l’elegante facciata, si segnala come un interessante esempio di architettura eclettica, per un verso sensibile al concetto di “decoro” borghese, per altri versi funzionale alle necessità di un incipiente sviluppo industriale, seppure non privo di legami ancora solidi con il retroterra agricolo.
Inoltre il “Palazzo Ghetti” costituisce una della poche testimonianze architettoniche ancora integre nel tessuto urbano di una città che tanti danni ha subito e tante testimonianze storiche importanti ha visto perdere, significativo esempio di un aspetto per molti versi interessante del rapporto città-campagna, in una zona in definitiva ancora marginale nel quadro dello sviluppo economico dell’Italia post-unitaria.