Abstract
Premessa
Nella notte tra il 28 ed il 29 settembre 1944 fu fatto saltare dalle truppe tedesche in ritirata il ponte romano di Savignano sul Rubicone, importante monumento storico e simbolo della cittadina legata ad esso da uno stretto legame di consuetudini ed affetti. Fu subito evidente che non si poteva fare a meno di procedere alla sua ricostruzione, durata vent’anni, e le cui fasi in questo lavoro di tesi sono state lette prima direttamente sul manufatto, operando mediante il rilievo e lo studio approfondito di ogni singolo elemento un ipotetico smontaggio e rimontaggio, e poi confrontate con i dati d’archivio.
Note storiche
Il ponte romano di Savignano, prima della sua distruzione, non presentava elementi plastico-decorativi che possano indicare una data certa di costruzione; alla luce dei confronti con le caratteristiche tipologiche e formali di altri ponti si può ipotizzare che l’epoca più probabile di costruzione sia quella tardo-repubblicana, intorno alla metà del I secolo a.C..
Subì, nel corso dei secoli, numerosi interventi di restauro: la costruzione del castello del borgo di Savignano, nel 1358, che appoggiava le mura ed i bastioni sulla spalla a levante del ponte, fu probabilmente la prima e principale causa di dissesti e deturpamenti dell’opera. Seguirono poi una serie di assedi e distruzioni, fino alla spoliazione delle sponde di marmo rosso da parte di Sigismondo Pandolfo Malatesta, per utilizzarle nella costruzione del Tempio Malatestiano a Rimini.
Nel 1611 l’aspetto del ponte mutò ulteriormente: oltre alla medievale Porta di accesso che poggiava sulla spalla di levante, fu costruito il macello pubblico su un arco posto in diagonale tra la cinta muraria e la pila di levante, e nella fiancata a sud fu eretta una celletta; si rinforzarono le cortine di mattoni poste a protezione delle pile, fatte durante il restauro del 1361, e si ricostruirono i parapetti in laterizio. Ai restauri effettuati nel 1759 con l’impiego di pietra d’Istria seguirono nell’Ottocento ulteriori opere culminanti nel 1885 con l’isolamento del ponte dalle superfetazioni medievali. Nel 1937 in occasione del Bimillenario Augusteo furono compiuti da Salvatore Aurigemma della Soprintendenza alle Antichità dell’Emilia Romagna di Bologna, saggi di scavo mirati soprattutto allo studio delle strutture di fondazione, molto importanti perchè contribuirono alla conoscenza dei materiali e del modus costruendi dei romani.
Analisi delle caratteristiche tecniche, costruttive e formali.
Il ponte di Savignano nel suo aspetto originario era in pietra d’Istria, del medesimo litotipo del ponte di Tiberio a Rimini, (presentante due tipi di pietra d’Istria aventi differenze di struttura e tessitura ma non di litologia): si tratta di calcari organogeni stratificati con resti fossili macroscopici, come gasteropodi, lamellibranchi e colonie di briozoi, con frammenti di calcare miotico a grana fine, cementati con i suddetti resti fossili, sedimentatisi in ambiente di acqua agitata.
Era costruito secondo la tecnica dell’opus quadratum, a tre arcate innestate su due pile poggianti su una platea continua di fondazione in lastre di marmo rosso scuro, giallo e giallo-rosato, legate tra loro da grappe di ferro ed in lastre di pietra bianca d’Istria di notevoli dimensioni (circa 2,00 x 0,60 m), “congiunte le une alle altre in modo perfetto”; a valle la platea iniziava a 4,70-5,00 m dalla linea di appiombo del ponte e terminava con un doppio scalino ottenuto o dalla sovrapposizione di due lastre o tagliato nel lastrone stesso, mentre a monte si estendeva fino a 5,25-5,30 m dalla linea di appiombo. Poggiava su di uno strato di ghiaia sovrastante un blocco molto compatto di calcestruzzo, di ciottoli di varia dimensione e calce, dello spessore medio di circa 1,30 cm. Le pile avevano rostri frangiflutti solo nella parte a monte, a forma di diedro acuto: nel corso dei restauri furono rivestite da cortine in cotto fino al piano d’imposta degli archi; per evitare lo slittamento delle spalle e delle pile sulla platea erano fissati perni di ferro a base quadrata. Sul piano d’imposta delle arcate vi era un filare di conci disposti di testa, perpendicolarmente rispetto agli altri blocchi, che formava una sporgenza aggettante circa 30 cm avente la funzione di base d’appoggio delle centine necessarie per la costruzione. Le arcate sia a monte che a valle presentavano ghiere semplici costituite ciascuna da quindici conci, sempre in pietra d’Istria, disposti radialmente (quello di chiave era sporgente rispetto agli altri ed anche più alto); erano legati tra loro da grappe in ferro a coda di rondine fissate alle estremità con piombo a rifiuto, tecnica già adottata sia per la platea che, probabilmente, per le pile; inoltre in quasi tutti i conci era presente il foro rettangolare dell’olivella. I muri d’ala di levante e quello a monte di ponente erano anch’essi in filari sovrapposti di pietra d’Istria, mentre a valle il muro di risvolta è in laterizi riferibili a diverse fasi costruttive: nella parte basamentale vi sono coctis lateres di epoca romana, di dimensioni di 29,5 / 30 cm di larghezza, 42,5 / 45 cm di lunghezza e circa 6,5 cm di altezza, assimilabili al mattone “teorico” vitruviano longum sesquipede latum pede, ascrivibili ad un primo restauro. Altri mattoni misurano circa cm 29,5 x 13,5 x 5,5 e possono essere riferiti ai restauri e ampliamenti del 1358.
La ricostruzione del ponte
In seguito alla distruzione fu costruito, per necessità e contingenza, dagli alleati nel novembre 1944 un ponte Bayley poggiante su ciò che rimaneva del ponte romano; già nel 1945 la Soprintendenza alle Antichità dell’Emilia e Romagna di Bologna sollecitava il Ministero della Pubblica Istruzione alla risoluzione “dei provvedimenti da attuare per il monumento, sia che si voglia prenderne in considerazione la ricostruzione intera o parziale o semplicemente una conservazione dei materiali di risulta e degli attacchi …”. Nel 1946 il Comune di Savignano sul Rubicone, in accordo con la Soprintendenza di Bologna, incaricava l’arch. D’Andrea, a cui era già stata affidata la redazione del Piano di Ricostruzione della cittadina, distrutta per il 90 %, di redigere il progetto di ricostruzione del ponte: questo, dopo la sua presentazione nel 1948, venne però accantonato dal Provveditorato alle OO. PP. per mancanza di fondi. Nel 1955 fu inviato alla Soprintendenza per la sua approvazione, ma essa espresse parere negativo, in quanto “non è accoglibile il criterio di lastronare il manufatto ricostruito con materiale antico, così da assumere una falsa parvenza di autenticità”, criterio che paradossalmente dopo vent’anni di progetti presentati, rinviati e rielaborati e di conflitti di competenza venne alla fine adottato per la ricostruzione delle pile. Nel frattempo furono eseguite due campagne di scavo per il recupero dei blocchi in pietra dall’alveo del fiume, nel 1948 e nel 1957.
Il progetto di ricostruzione e la direzione dei lavori vennero affidati dalla Soprintendenza di Bologna all’arch. Riccardo Gizdulich, della Soprintendenza alle Antichità di Firenze, in precedenza incaricato della ricostruzione del Ponte S. Trinita a Firenze, anch’esso distrutto dalle mine tedesche nell’agosto del 1944. Si pervenne al progetto di ricostruzione nel 1961: il criterio informatore era quello del “dove era e come era”: infatti “La gran mole di blocchi recuperati … hanno indotto a ritenere possibile ed auspicabile il ripristino dell’insigne monumento, come già avvenuto per altre opere quali il Ponte a S. Trinita a Firenze, … il Ponte Scaligero e il Ponte Pietra a Verona, e riandando anche ad altre opere, si vorrebbe ricordare il tempio Malatestiano di Rimini.”.
Il progetto definitivo fu approvato nell’agosto del 1962 e prevedeva la costruzione delle pile in muratura di mattoni pieni e per le arcate pietra d’Istria “ sia in blocchi nuovi che di recupero”. Nel luglio 1963 fu notificata all’arch. Gizdulich la cessazione dell’incarico, e la direzione dei lavori venne assunta dal Soprintendente Mansuelli, che intendeva seguire i criteri del predecessore; ma già l’anno successivo il reggente Gentili, che gli succedette nel 1964, riteneva “molto problematico il restauro rigorosamente archeologico del ponte” a causa del forte deterioramento di molti elementi lapidei. Il Genio Civile di Rimini presentò il progetto definitivo nel giugno 1964: prevedeva la ricostruzione delle pile in calcestruzzo previo basamento costituito da una soletta in c.a. e successivo paramento in pietra ricavata dal materiale di recupero, la ricostruzione degli archi in pietra di recupero o nuova uguale all’esistente ed il rinfianco in calcestruzzo poichè, come scrisse il Gentili, “si è ritenuto opportuno ricorrere ad un materiale eterogeneo tenuto in sottosquadro, che desse netta la distinzione tra gli elementi antichi ed il restauro moderno, onde si è preferito avvalersi del materiale oggi più largamente usato, il conglomerato cementizio che d’altronde col suo colore più s’avvicina al grigio della pietra d’Istria dell’antica struttura”. Alla fine dunque “Si è … cercato di fare un restauro il più onesto possibile … rifuggendo da una ricostruzione di un falso antico. … E tale concetto ha informato … anche l’uso della robusta e sobria balaustra in ferro, che con la sua ariosità non crea volumi arbitrari sopra una modesta opera a sbalzo … e che con la orizzontalità della sua linea è venuta a costituire una specie di cornice marcapiano, quale forse non doveva mancare nell’antico ponte romano se prendiamo a confronto, come esempio vicino, il ponte di Tiberio di Rimini.”
I lavori terminarono il 4 settembre 1965.
Conclusioni
Durante l’ultima Guerra nel corso dello scontro fra le truppe germaniche e le forze anglo-americane molti ponti di inestimabile valore subirono ingenti danni: a Rimini si salvò il Ponte di Tiberio mentre peggior sorte ebbero il Ponte sull’Ausa ed il Ponte sul Fiume Uso a Santarcangelo, di cui oggi rimane solo un’arcata, quasi completamente interrata. Molti di questi ponti furono ricostruiti “anche se in molti casi si è giunti a sfigurare definitivamente i manufatti stessi”.
Conclusione del lavoro è stata quella di confrontare i criteri e le fasi delle ricostruzioni di alcuni ponti, in particolare di quella di ponte Pietra a Verona, con cui il ponte romano di Savignano presentava delle analogie oltre che per la tipologia anche “per la qualità estetica”; per entrambi l’intendimento era quello di procedere ad un restauro archeologico, che venne attuato per ponte Pietra ma non per il ponte di Savignano: infatti il materiale non fu recuperato scientificamente e di conseguenza non fu possibile definire la posizione originaria e poi collocare esattamente gli elementi lapidei; non furono preventivamente eseguiti i modelli dei singoli conci, che, assemblati nel plastico generale del ponte, avrebbero costituito un elemento fondamentale di studio e di riferimento, così come non vennero accuratamente studiati i rilievi esistenti, sulla scorta anche della documentazione fotografica. Inoltre la scelta del conglomerato cementizio quale materiale sostitutivo degli elementi mancanti non fu valutata in rapporto alla reazione che esso avrebbe avuto a contatto con le pietre originarie: infatti le sostanze alcaline presenti nel cemento portano alla formazione di sali solubili che sono da ritenersi nocivi per le strutture lapidee, poiché ne favoriscono e ne accelerano il processo di degrado. E’ a questo che si devono le efflorescenze saline biancastre presenti in gran parte dei conci delle pile e non invece negli elementi romani, costituite dal 15,6 % di carbonati, da 120 mg./kg. di solfati, e 40 mg./kg di nitrati (come cationi sono presenti Calcio (14,5 %), Sodio (12,5 %) e Magnesio (0,08 %)).
Dopo aver analizzato lo stato di conservazione del manufatto si sono ipotizzate due diverse modalità di intervento, comuni per gli interventi mirati alla eliminazione dei fattori di degrado diffusi su tutto il manufatto, e differenziate per quanto riguarda la soletta a sbalzo in cemento armato, fortemente deteriorata: la prima consiste nel ripristino delle parti ammalorate, mentre la seconda ipotesi prevede interventi di consolidamento strutturale con ricostruzione del piano viabile, eliminazione dello sbalzo con conseguente ritorno alla originaria volumetria romana, e lo spostamento della condotta fognaria, elemento non gradevole visivamente e fortemente caratterizzante il prospetto a valle del ponte.
La tesi di Laurea è stata integralmente pubblicata nel dicembre 1997 a cura del Comune di Savignano sul Rubicone, e finanziata dalla Fondazione della Cassa di Risparmio di Cesena:
Un ponte eccelso come un monumento Il ponte romano di Savignano sul Rubicone, di Elena De Cecco, a cura di Paola Sobrero, Rimini, 1997.