Abstract
Cenni storici sulle localita’ di Bulgaria e Bulgarno’
Bulgaria di Cesena prende il nome, come altre bulgherie, sparse in vari luoghi della Romagna, dai Bulgari di Alboino, che nel 568 scesero in Italia coi Longobardi.
Viene inoltre nominata nel codice Bavaro che parla di una “terra bulgarorum”, che fa da confine a un fondo nel territorio di Rimini, dato in enateusi dall’arcivescovo di Ravenna Giovanni successore di Martino.
In un documento del 26 ottobre 1001 viene confermato da Ottone III il possesso di questi territori da parte del Monastero di San Apollinare in Classe.
Successivamente in un atto di Federico Barbarossa del 20 febbraio 1164 si fa menzione di “Bulgaria nova” che corrisponde all’odierna Bulgarnò situata tre chilometri a nord di Bulgaria.
Nell’anno 1181 i riminesi espugnano “Castrum bulgarie” ma vengono ricacciati fino a Savignano sul Rubicone dai cesenati insorti.
Nel 1205 vengono fissati i confini dei territori di Cesena e Rimini tra le due bulgarie e si fa menzione in un documento di “Bulga-ria vettula” situata nel contado di Rimini e “Bulgaria nova” in quella di Cesena.
Dalle notizie, relative al periodo dell’età comunale, emerge il fatto che questi territori erano zone di confine continuamente contese dai comuni di Rimini e Cesena e soggette ai continui scontri fra le milizie dei due Comuni. Da qui nasce l’esigenza, per quelle famiglie che ivi abitavano, di difendersi adeguatamente durante le continue lotte per il controllo del territorio.
Il castello di Bulgaria fu eretto dai cesenati per proteggere i loro territori e fu conteso dai riminesi per un centinaio di anni; finché nel 1306 con la pace avvenuta fra gli Oderlaffi ed i Bulgari (questi furono ammessi a Forlì e perciò cedettero il loro castello di Bulgaria agli Oderlaffi).
Gli Oderlaffi nel 1356 lo dovettero cedere a loro volta al legato papale Cardinale Albornoz e dopo d’allora il castello di Bulgaria scompare dalla storia. Viene quasi demolito da Galeotto Malatesta e se ne vedono alcuni resti delle mura presso l’attuale Chiesa di Bulgaria.
La località di Bulgarnò viene citata in alcuni documenti, relativi alla Chiesa di S. Biagio di Bulgaria, che si trovano nell’archivio vescovile di Cesena.
In particolare in un documento del 1537 si parla di un’aspra lite tra Don Roberto Maffebonus, arciprete e rettore della parrocchia di S. Biagio in Bulgaria e un certo Don Battista, cappellano dell’Oratorio di S. Pietro e Bulgarnovo. Il Maffebonus fa notare che la villa (in questo caso si parla della località di Bulgarnovo), è sempre stata sottoposta alla Parrocchia di S. Biagio.
Una “descritione di tutto il popolo della Pieve di S. Biagio de Bulgaria” fatta nel 1585 ci dice che in essa vivono 724 persone distribuite nelle ville di Bulgaria, Bulgarnò, Pavirano, Branchise, Campo Pollini, Campazzo, S. Lazzaro o Vigo, Cerisolo.
Alla fine del 1700 gli oratori pubblici che fanno parte della Parrocchia di S. Biagio sono quelli di Bulgarnò; di S. Lazzaro, sulla strada Flaminia; di Pavirano, già nel Palazzo delle Scuole Pie, ora del cittadino Locatelli.
Il palazzo delle Scuole Pie a Pavirano è documentato nel catasto terreni relativo al territorio di Cesena, rilevato dal geometra Domenico Maria Viaggi nel 1740 e successivamente ridotto in fogli rettangolari nel 1846.
Tipologia della villa a castello
L’epoca di trapasso, sul piano tipologico, dalla fortificazione o recinto fortificato alla villa di campagna, si colloca fra i secoli XIV e XV; alla fine, cioè, dell‘età comunale e del pieno sviluppo del fenomeno signorile che porta, in Romagna, a una progressiva rifeudalizzazione del territorio e alla conseguente riconquista del suolo agricolo da parte delle emergenti in area urbana .
Il “ritorno alla terra ha” secondo Gina Fasoli “complessi motivi economici e psicologici e si traduce visibilmente nel paesaggio con la manomissione di molti vecchi castelli signorili (apertura di finestre verso l’esterno, di loggiati, di altane) e con la costruzione di ville “.
Come si evince chiaramente dai documenti, nei secoli XIV e XV la proprietà del territorio agricolo risulta quasi completamente in mano all’aristocrazia urbana, al Comune, alle Chiese e ai Conventi che organizzano l’attività produttiva su poche ma consistenti concentrazioni fondiarie “condotte come poderi demaniali,piuttosto simili alla cascina di oggi”.
Il tipo di organizzazione terriera che viene ad emergere , in queste concentrazioni fondiarie, non è molto lontano da quello visto e descritto, agli inizi del Trecento, da Pier De Crescenzi nel suo “Liber ruralium commodorum”.
Nel primo dei dodici libri che compongono la sua opera egli si interessa “de‘ luoghi abitevoli da eleggere : delle corti e delle case, e di quelle cose, le quali sono necessarie alla abitazion della villa e prima del conoscimento della bontà del luogo abitevole in comune “.
In particolare al capitolo VII descrive con dovizia di particolari una tipica villa campestre della fine del secolo XII .
L’autore non manca di rilevare che nei casi in cui il signore goda di particolare prestigio il palazzo si debba disporre in un luogo distinto dalla corte rurale ed assumere una sua conformazione specifica.
Il “Liber ruralium commodorum” ebbe una larga diffusione fin dai secoli XIV e XV e non è senza significato che una sua trascrizione venisse collocata, a metà del 400, nella biblioteca umanistica voluta da Malatesta Novello all’interno del convento di S. Francesco.
Il rilancio della casa di campagna come “Locus Amoenus” per i cittadini in cerca di svago e tranquillità trova il suo interprete principale verso la metà del secolo XV in Leon Battista Alberti.
I suoi scritti, a iniziare da quelli sulla “famiglia” e sulla “villa” fino al celebre trattato di architettura, ritornano ripetutamente sul tema dell’attività agricola e della vita campestre come uscita liberatoria dalla città.
E’ nel “de re aedificatoria” in particolare, che viene reso esplicito più compiutamente il significato e il valore della villa.
Quello proposto dall’Alberti è un modello di villa derivato da alcuni classici latini (Marziale, Lucullo, Vitruvio) e filtrato attraverso la rinnovata concezione umanistica della famiglia .
Come si è visto i riferimenti teorici al concetto di villa da De Crescenzi all’Alberti non mancano: non sempre si tratta di pure teoria trattatistica ma anche di concreta lettura della realtà esistente. Resta il fatto che una storia sulla villa di campagna nella fase di passaggio che va dal Medioevo al Rinascimento è ancora da scrivere. In tal senso Gina Fasoli afferma: “L’evoluzione dal castello alla villa è stata postulata più che analizzata dagli storici dell’arte, sensibilissimi ovviamente ai problemi estetici, ma non interessati a problemi di altra natura, al venir meno dell’apparato difensivo, alla diversità dei criteri di scelta del terreno per le nuove costruzioni, situate per quanto era possibile in posizione elevata, ma non inaccessibile come quella degli antichi castelli, e prescindendo completamente da considerazioni di carattere militare: tutto questo evidentemente in relazione ad un nuovo e diverso modo di vivere dei proprietari e ad uno stato di relativa tranquillità e sicurezza delle campagne”. Le differenze fondamentali della pianta delle ville in confronto ai castelli sembrano essere la rinuncia ad una corte interna e la trasformazione della corte esterna in giardino, l’eliminazione dei fossati o la loro trasformazione in elemento decorativo.Valore decorativo continuano ad avere i merli, la torre centrale o le torri angolari che in certe zone continuano a caratterizzare questo tipo di architettura.
La villa a castello di bulgarno’
Sull’origine del fortilizio e della proprietà in epoca malatestiana non si sa nulla, bisogna arrivare ai secoli XV e XVI per avere, seppure per via indiretta, informazioni esaurienti sulla tenuta agricola la cui origine si può far risalire alla volontà imprenditoriale delle principali famiglie cesenati del secolo XV.
Il podere località Bulgarnò è documentato, insieme alla residenza fortificata che vi insisteva, in un cabreo del 1662. In quell’anno Girolamo Cardani, agrimensore di Ravenna, redige un volume di 67 carte contenente la “ Misura et piante di tutti li terreni cioè possessioni e luoghi e case e altre sue ragioni pertinenze che possiede il Collegio Nazareno posti nel territorio di Cesena, Santo Arcangelo e Rimini”, e nella tavola XVII viene rappresentato il “ loco del palazzo nella villa di Bulgarnò”.
Il terreno con il palazzo di Bulgarnò è oggetto di un atto di compravendita stipulato nel 1619 fra Romolo Roverella, conte di Sorrisoli, che vende per conto del padre Aurelio di cui ha la procura, e il cardinale Michelangelo Tonti vescovo di Cesena dal 1609 al 1622. Nell’atto del 1619 vengono definiti i confini e le caratteristiche della proprietà:”un palazzo posto nel contà di Cesena, nella villa di Bulgarnò, con stallone, e giardino di detto palazzo, ladi a due strade le case de lavoratori, et un magazzino, et gli altri beni di detti signori venditori, et altri ladi, se ve ne fossero li andamenti necessari per l’andare al stallone”.
Quel che viene ad emergere, in questo primo approccio documentario, è la presenza, al centro di un area occupata dal giardino e dagli altri edifici di servizio, di un palazzo padronale che mostra chiaramente i caratteri architettonici e costruttivi delle residenze fortificate di campagna sorte, a iniziare dalla seconda metà del ‘400, nell’agro romagnolo.
Altrettanto evidente è l’origine familiare del palazzo che apparteneva ai conti Roverella i quali avevano assunto, alla fine del secolo XVI, un ruolo di primo piano. La famiglia Roverella era presente in Romagna e nel cesenate dopo la caduta della signoria dei Malatesta ed il ritorno alla stoto della chiesa: tale Giovanni Roverella divenne nel 1517 conte di Sorrivoli, titolo che rimase alla famiglia fino all’estinzione. Il palazzo di Bulgarnò, come appare nel cabreo del 1662, presenta i caratteri tipici di un’età di transizione, tra residenza medievale e rinascimentale, tra castello e villa. La pianta è quadrangolare, con una struttura compatta e snella e caratterizzata dalle torre angolari che si contrappongono diagonalmente a difesa delle cortine murarie. L’aspetto fortificato risulta particolarmente evidente all’esterno dove, insieme alle torri, compare tutto l’apparato difensivo tradizionale: muri in laterizio di grosso spessore disposti a scarpata nella parte inferiore, feritoie e cordonatura mediana, beccatelli e merlatura di coronamento sostituiti nel XVII secolo con una copertura a quattro falde. Il carattere di villa residenziale emerge, seppur timidamente, nella scansione regolare dei due portali d’accesso (disposti uno di fronte all’altro nelle due facciate principali) e delle aperture al primo piano dell’edificio, ma è ancora più esplicito all’interno; dove un ampio corridoio centrale distribuisce al piano terra e al piano primo i locali di servizio e di abitazione. Un’indicazione precisa della distribuzione del palazzo ci viene fornita, nel 1646, da una nota “delli beni del collegio Nazareno”: “un palazzo di quattro stanze a terreno, cioè una sala, cucina e due camere, pozzo, et ad alto una sala, tre camere, un camerino, e due colombare ad uso di torri, et un giardino da tre parti di tornature quattro”.
Il palazzo non ha subito variazioni notevoli dalla sua costruzione ad oggi: gli interventi successivi si sono limitati all’eliminazione del coronamento merlato e all’abbassamento delle due torri angolari, avvenuto nel 1942 anno in cui venne rifatto il tetto. L’edificio è uno degli esempi che testimonia la presenza della tipologia edilizia, denominata “villa a castello”, che, pur con qualche variante nella forma e nella distribuzione dei torrioni, ha avuto una grande fortuna nell’agro cesenate e nei territori limitrofi durante i secoli XV e XVI. Lo testimoniano ulteriormente gli esempi di: Palazzo Grossi a Castiglione di Ravenna, Villa Raisi a San Michele di Godo e Villa Cavalli a Villanova di Ravenna.
Questi edifici presentano già tutti i caratteri della villa isolata di campagna anche se conservano ancora alcuni elementi di chiara impronta difensiva. Il nuovo tipo edilizio della “villa a castello” deriva direttamente dal castello o dal recinto fortificato e attraverso la progressiva rinuncia ad ogni apparto difensivo funge da esempio per lo sviluppo della tipologia della villa che si consoliderà in seguito attraverso l’opera dei maggiori architetti e trattatisti quali (Sergio, Vignola, Palladio) che saranno chiamati a dare risposte nuove ed originali in relazione alle diverse realtà economiche e regionali.