Abstract
Premessa
Il lavoro della tesi è nato dalla precisa esigenza di approfondire ed integrare il bagaglio di conoscenze attualmente a nostra disposizione sul monumento oggi comunemente quanto impropriamente noto con l’appellativo di Arco di Augusto.
L’analisi dei testi, dei documenti e del materiale iconografico ha messo, infatti, in evidenza un’impostazione metodologica finalizzata allo studio e alla valorizzazione di pochi e limitati elementi a discapito di una vastissima mole di materiale non privilegiato e quindi sistematicamente omesso. Scopo del lavoro è stato quello di ripercorrere le tappe evolutive del monumento al fine di consentire poi un corretto intervento di conservazione e salvaguardia.
Cenni storici
Nato come opera di difesa l’Arco d’Augusto di Fano risale ad un’epoca non successiva al 9-10 d.C. secondo quanto si deduce dalle note cronologiche contenute nell’epigrafe augustea.
Le vicende che nel corso dei secoli ne hanno rimaneggiato ed alterato la struttura originaria hanno inizio nel 337 d.C. con la realizzazione dell’iscrizione dedicatoria in onore dell’ormai defunto imperatore cui, con ogni probabilità spettò il merito di aver restaurato le mura e forse anche la porta.
Dal V all’XI secolo manca ogni documentazione storica che attesti lo stato e il ruolo svolto dal monumento.
Nel 1357 inizia a Fano la Signoria dei Malatesta e sotto Pandolfo III la città viene dotata di una nuova cinta muraria più ampia di quella romana: l’Arco di Augusto passa topograficamente in secondo piano. Nell’estate del 1463 la parte superiore del monumento (attico) viene in gran parte accidentalmente distrutta dalle artiglierie di Federico da Montefeltro durante l’assedio posto alle truppe pontificie per sottrarre Fano al dominio della Signoria malatestiana. Nel 1475 la Confraternita di San Michele riesce ad acquistare le macerie provenienti dalla distruzione dell’attico per completare la costruzione del loggiato della nuova sede dell’Ospedale degli Esposti iniziata nel 1469 sul lato sinistro del fronte interno della porta romana che vede così chiudersi anche l’altro dei suoi fornici minori. Il primo, quello di destra, aveva avuto analoga sorte qualche secolo prima, nel medioevo, quando gli fu appoggiata l’originaria struttura del Palazzo del Cassero. Nel 1493 l’Arco perde il torrione destro demolito per far posto ai lavori di costruzione della Chiesa di San Michele la cui facciata viene pensata con rivestimento in pietra da realizzare con i resti dell’antico attico a pseudo-portico della porta romana. Nel 1504 con l’intento di ampliare la costruenda chiesa, l’Arco vede chiudere parzialmente il suo fornice minore destro. Il degrado del monumento continua per tutto il Cinquecento, secolo in cui documenti di archivio attestano il crollo di una parte del fornice principale. Nel 1573, nella spalla destra dell’intradosso del fornice centrale, ad un’altezza tale da essere facilmente accessibile da un uomo a cavallo, viene aperta una buca per le offerte direttamente collegata al fornice laterale corrispondente e sopra la quale viene incisa un’iscrizione ancora oggi leggibile: ELEEMOSYNIS EXPOSITORVM. Nel 1625 un intervento dalla non ben nota consistenza viene realizzato sul fronte rivolto verso la città come ricorda l’epigrafe posta sopra il concio di chiave. Tale data risulta particolarmente importante perché da un termine post quem il fronte interno dell’Arco di Augusto non subirà più manomissioni o altri interventi.
Nei secoli XVIII e XIX non sono documentati interventi sull’Arco ma si assiste alla rinascita dell’interesse per le vestigia del passato che porterà nel 1825 all’affidamento, all’ing. Pompeo Mancini, dell’incarico per la redazione di un dettagliato progetto di restauro della struttura.
Nel XX secolo sulla base di detto progetto prende sempre più corpo l’idea del ripristino dell’Arco di Augusto nella sua integrità. Al settembre 1932 risalgono i primi interventi di restauro del torrione. Nel 1933 cominciano i lavori di restauro veri e propri sulla porta augustea: vengono rivestite con lastre di pietra arenaria le spalle del fornice minore sinistro e poco dopo realizzato il cancello in ferro tutt’oggi esistente. A questi anni risalgono anche le demolizioni delle strutture che sovrastano e occultano il fornice e i lavori che interessano l’attico. Le opere più cospicue vengano realizzati tra il 1936 e il 1938 e consistono nel :1) restituire il primitivo piano di calpestio, posto a – 0.57 mt. sotto il livello stradale; 2) liberare il fornice minore destro arretrando la facciata della cinquecentesca chiesa di San Michele; 3) segnare con una linea di conci in calcare la curvatura dell’antico torrione abbattuto per far posto alla chiesa; 4) recuperare eventuali pezzi pertinenti l’Arco; 5) realizzare un parziale e prudente restauro. Al fine di ripulire razionalmente la parte di fronte dell’Arco a lungo occultata dalla chiesa, per intonarla alla parte in vista, il 16 agosto 1937 viene anche realizzata la patinatura della zona da poco scoperta.
Abbandonata l’idea di ricostruire l’attico per ripristinare la struttura originaria i lavori realizzati consistono esclusivamente in un restauro archeologico dell’Arco. Da allora e fino ai nostri giorni non sono più documentati interventi di alcun tipo sul monumento ad eccezione della minima manutenzione.
Analisi dell’oggetto architettonico
La Porta di Fano è uno dei meglio conservati esempi di opus quadratum originariamente costituito da un nucleo interno in arenaria e da un rivestimento esterno in calcare.
Il fronte rivolto all’esterno della città è l’unico dei due prospetti che si è quasi integralmente conservato nella sua forma architettonica primitiva se si esclude l’attico con ogni probabilità consistente in un loggiato corinzio. Questo fronte è costituito da lastre regolari disposte, secondo la tecnica isodomica, in corsi regolari in modo da produrre un effetto di massa compatta e uniforme scandita solo dai vuoti dalle aperture del fornice centrale e dei due fornici laterali. Dalla base della struttura all’architrave si contano sedici corsi di conci di cui solo il primo non è visibile in quanto inferiore, in quota, all’attuale piano stradale. L’estradosso dell’archivolto principale, incorniciato da sottili modanature, è composto di sedici conci cuneiformi, che penetrano nell’intradosso per una certa profondità, e dal concio di chiave decorato da un elemento zoomorfo, oggi non più leggibile, che si allunga fino all’architrave della trabeazione. L’archivolto dei fornici laterali, privo di qualsiasi elemento decorativo, è composto da sei conci radiali. La trabeazione che corona superiormente il corpo principale risulta composta di tre parti di cui due di analoghe proporzioni (l’architrave a tre fasce e il fregio liscio) ed una di minori dimensioni (la cornice) caratterizzata da una fitta lavorazione a dentelli. La forma cuneiforme dei blocchi sistemati nella parte centrale del fregio è con ogni probabilità dettata dalla necessità di scaricare il fornice principale dal peso delle sette arcate dell’attico nella cui trabeazione era incisa la dedica a Costantino a noi nota solo grazie al rilievo dell’Arco scolpito nell’attigua facciata della Chiesa di S. Michele. Dell’attico a loggiato superiore, interamente in calcare, si sono conservati solo pochi e frammentari elementi mentre dei capitelli non si è conservato alcun resto ma sembra fossero corinzi e con foglie prive di dettaglio. Sopra i capitelli doveva esserci una trabeazione formalmente analoga a quella sottostante, seppur di minori dimensioni.
Il fronte rivolto verso la città si presenta invece sostanzialmente alterato e ridotto al semplice fornice centrale. Non sono più visibili i due fornici laterali chiusi progressivamente appoggiando su quello settentrionale il Palazzo del Cassero e su quello meridionale la Loggia di San Michele. La parte in vista presenta un rivestimento a mattoni non originale ma dovuto ad un restauro come testimonia la lapide murata sopra il concio di chiave del fornice centrale. Tracce dell’originario rivestimento in calcare si rinvengono nel piedritto sotto la Loggia di San Michele, indizio questo che supporta l’ipotesi che in origine i due fronti avrebbero avuto lo stesso trattamento murario. Detto fronte non si sviluppa su un unico piano ma risulta interrotto da una terrazza, che corre sopra il fornice maggiore, per poi proseguire arretrato sino al coronamento. In questa seconda superficie il paramento in laterizio non presenta una disposizione in corsi orizzontali e paralleli ma ha un andamento radiale che individua un arco con la funziona di scaricare sulle spalle laterali il peso dell’attico gravante sul fornice principale. Poco sopra questo arco di scarico sono visibili i resti in muratura della volta del cunicolo che metteva in comunicazione i due imponenti torrioni posti ai lati della porta. Di questi uno solo è giunto sino ai nostri giorni nella sua ossatura, pur se mutilato e variamente alterato, l’altro è stato demolito nel XV secolo per far posto alla Chiesa di San Michele.
Nel fornice maggiore la scanalatura per la saracinesca, che si ferma all’altezza dell’imposta dell’Arco scendendo dalla galleria di manovra, divide in modo netto l’archivolto in due parti distinte. Nella prima sono i blocchi cuneiformi in calcare del fronte esterno a penetrare fino al limite fisico della scanalatura. Nella seconda il paramento è in muratura laterizia a corsi disposti secondo un’orditura a spina di pesce aperta verso il fronte rivolto all’interno della città. Nelle spalle le manomissioni e i rimaneggiamenti successivi non impediscono di leggere la primitiva struttura ad opus quadratum e le connessioni con il rivestimento in calcare del fronte esterno.
Nei fornici minori si presentano due situazioni ben distinte. Quello meridionale è stato del tutto manomesso: chiuso su un fronte dai muri dell’attigua Loggia di San Michele e collegato da un ridotto passaggio alle strutture connesse della Chiesa e dell’ex Ospedale, è privo di qualsiasi tipo di rivestimento sia nei piedritti che nell’archivolto. Quello settentrionale presenta nei piedritti un paramento murario in blocchi di pietra tufacea disposti in corsi regolari e giustapposti.
Proposte di conservazione e salvaguardia
Dopo aver superato circa due millenni subendo sollecitazioni varie, mutilazioni e manomissioni, l’Arco di Augusto di Fano è giunto a noi in un considerevole stato abbandono. Le cause dell’odierno degrado sono molteplici e non sempre facilmente individuabili ma quasi tutte riconducibili ad un’unica e prima causa: l’acqua. Il vento, la vicinanza al mare e l’inquinamento atmosferico hanno poi accelerato e favorito il naturale processo di invecchiamento del materiale. Le osservazioni scaturite dalle analisi hanno messo in evidenza un decadimento non uniforme ma sensibilmente variabile in funzione della diversa ubicazione degli elementi rispetto al contesto strutturale.
Sul fronte esterno alle mura oltre alle tipiche croste nere che interessano le cornici e il fregio, i fenomeni di degrado più diffusi sono il ruscellamento delle acque meteoriche, una diffusa seppur variabile patina che ricopre quasi integralmente la superficie, ad eccezione delle zone dilavate e della parte compresa tra il fornice minore destro e la Chiesa di San Michele, e una diffusa porosità che caratterizza i conci alla base dell’Arco.
Nella convinzione che si debba fare qualcosa per impedire il processo di alterazione della pietra e dal momento che tale processo è indubbiamente legato alle caratteristiche dell’ambiente, il primo indispensabile passo da compiere è quello di rimuovere per quanto possibile queste caratteristiche. Il primo passo compiuto in questa direzione è stato quello di proibire il transito del traffico veicolare sotto la porta. Oltre a questo provvedimento i sistemi di intervento che si rendono necessari sono un idoneo sistema di smaltimento delle acque meteoriche per evitare il continuo dilavamento dei fronti e la sigillatura di tutti gli interstizi dei blocchi lapidei della cornice attraverso i quali l’acqua fluisce dall’attico lungo il fronte esterno. A questo dovranno succedere quegli interventi che agendo direttamente sul processo di degrado in atto possano ridurne l’avanzata e limitare al tempo stesso l’influenza negativa dei fattori climatici ed atmosferici: un’idonea pulitura (il sistema più idoneo dovrà essere scelto tenendo conto del tipo di deposito e della vastità della superficie da pulire), un consolidamento e un fissaggio preventivo degli elementi maggiormente degradati (per evitare il distacco delle croste più superficiali del materiale e delle parti sollevate) ed infine un’adeguata e rimovibile protezione di tutta la superficie in vista che funga da schermo tra la superficie stessa e l’ambiente esterno. Non essendo però alcun trattamento ottimale in senso assoluto l’unico effettivo modo di garantire e prolungare nel tempo la vita del monumento sarà quello di assicurare nel tempo ispezioni regolari e una buona azione di manutenzione in modo da poter intervenire tempestivamente appena compaiano piccoli segni di alterazione.