Abstract
Dall’origine alla fine del 1800
E’ l’ultima porta cittadina rimasta a Forlì, fu costruita dal 1406 al 1407 dal cardinale Baldassarre Cossa, nel 1411 fu espugnata da Giorgio Ordelaffi, figlio illegittimo di Tebaldo, eletto signore di Forlì l’anno successivo, il quale la fece demolire nel 1413 .
Paolo Bonoli nel 1661 scriveva: “1406… sembrandogli non bastasse la rocca di Ravaldino ad ifrenare il popolo forlivese, ne fé costruire alla porta di Schiavonia un’altra non men forte, la quale a’ giorni nostri da Rivarola cardinale legato fu quasi smantellata e guasta del tutto, col motivo d’abbellire la porta ed agevolare il transito in città; e quella porta chiamò col suo nome..”.La porta non venne mai chiamata Rivarola, ma fu sempre Porta Schiavonia, anche quando il Municipio, dopo il 1882, le attribuì il nome di Barriera Garibaldi. Fu Cesare Borgia, il duca Valentino, ad ordinare la ricostruzione della rocca nel 1499, nel 1503 venne occupata dalla fazione di Antonio Ordelaffi. Alla quale fu tolta l’anno successivo per essere consegnata da Bartolomeo Morattini al Duca di Urbino, capitano delle milizie popolari. Nel 1512 cadde in potere della fazione dei Numai, ostile alla chiesa, alla quale fu restituita dopo breve tempo. Per ordine del cardinale Rivarola, legato papale, le opere difensive di Forlì vennero disarmate e rimasero quelle che possiamo vedere, i due torrioni adiacenti alla porta. Questa reggeva un “portonaccio” in legno che chiudeva la città durante la notte.
Dietro l’arcone trionfale, l’entrata vera e propria, vi era un androne piuttosto vasto in cui si svolgeva il mercato dei braccianti, era utilizzato per la raccolta del Dazio e per l’alloggio dei dazieri: “eran internati l’ufficio del Dazio e la pesa pubblica”6. Per ottenere l’ingaggio dai mezzadri i giornalieri (agl’ovar) si radunavano sotto l’androne della porta, dove erano radunati fin dalle primissime ore della mattina. Attendevano l’alba ed i mezzadri o fattori
che sceglievano quelli che parevano migliori. La porta vera e. propria venne sostituita da un arco trionfale in una data non certa, ma di sicuro nel 1743 l’arco fu dedicato al cardinale forlivese Camillo Paolucci per festeggiare il ritorno dalla Polonia dove si era adoperato per la salita al trono di Augusto III. Nel 1825 venne fatta richiesta, da parte del sig. Poggiali, di poter occupare la porta come officina per la sua attività privata. Il permesso fu rivolta al Gonfaloniere che accettò a condizione di chiudere le aperture verso la città ed eseguire i lavori a spese del privato.
In seguito l’affittuario eseguì dei lavori di livellamento della pendenza della strada per un dislivello rilevato rispetto la parte interna della rocca. Altri furono gli interventi che determinarono la storia della porta e furono, come quello del 1825, motivati da un contratto di affitto ad un privato. E’ il 1845, quando il sig. Signorini chiede di occupare la rocchetta per il suo “traffico di legname”. Seguirono lavori di adattamento del locale all’attività, il busto del Cardinale Paolucci figurava sul fastigio dell’arco e scomparve nel 1859. Nella lunetta della porta era affrescata la Madonna del fuoco coi due protettori S. Mercuriale e S. Valeriano, ma anch’esso scomparve durante il secolo scorso.
Dal 1900 al 1977
Grazie alla corrispondenza rinvenuta presso gli archivi della soprintendenza ai beni culturali ed architettonici di Ravenna, che avvenne tra i vari organi competenti durante questo periodo, è possibile valutare le ultime tappe della storia della porta di Schiavonia. Le amministrazioni che si sono succedute a partire dal 1900 manifestano sempre la volontà di demolire parte della porta o addirittura eliminarla completamente. Nel novembre 1904 il sindaco domandava al Ministero di demolire la porta per ragioni di viabilità: l’ufficio rispose negativamente ed il Ministero ne decise la conservazione. Due ani più tardi il Prefetto sollecitava alcuni provvedimenti perché la porta “minaccia ruina”, ma l’ufficio confermava le buone condizioni statiche della porta ad eccezione del tetto. Il comune di Forlì adduceva motivazioni riguardanti la sicurezza del passaggio della porta, in quanto scuro e, nel 1913, riteneva più opportuno realizzare, con la demolizione, due passaggi: uno pedonale ed uno per i veicoli. Il Ministero opponeva un assoluto rifiuto alla demolizione, mentre acconsentiva all’apertura di un varco demolendo parte della cortina adiacente la porta. Qualche anno più tardi venivano eseguiti lavori di restauro “indispensabili ad urgenti al tetto dalla facciata della porta Schiavonia, e di consolidamento delle palle di sasso esistenti e minaccianti ruina”. Le richieste di lavori di demolizioni continuano, sempre per motivi di sicurezza, nel 1932; questa volta riguardano la tettoia, ma la sovrintendenza era sempre contraria ad ogni tipo do cambiamento; acconsentiva a restauri di consolidamento di tipo statico in accordo con “l’aspetto monumentale dell’arco”. Alla fine del 1933 il ministero accordava il permesso per la distruzione dell’androne ritenendo “che il complesso architettonico dell’arco rimarrà inalterato, com’era nei voti dell’accesso”. Forum Livii riporta il 7 agosto 1933: “Con le prescritte autorizzazioni della Sovrintendenza ai Monumenti, è stata demolita la parte posteriore della Porta di Schiavonia. Molti si domandano cosa rimanga a rappresentare la parte anteriore, che non ha certamente un notevole pregio artistico e storico. Forse solo per rendere imperfetta la magnifica strada di circonvallazione. Eppure il Duce ha proclamato di non avere il feticismo delle pietre e dei mattoni, e che non si deve esitare a demolire, dove occorra”. In quell’occasione veniva sostituito l’acciottolato con una pavimentazione di mattonelle a spina di pesce. Gli anni successivi vedevano lavori di sistemazione della rete viaria circostante la porta ed il desiderio, da parte dell’opinione pubblica, di una sistemazione definitiva e decorosa per l’unica porta rimasta, così come per le sole parti di mura esistenti. Era opinione del Comitato di Forlì Storica Artistica (sezione monumenti) quella di temere per una demolizione totale della porta di cui il comune poteva farsi carico con la scusante di un’imminente caduta dell’arco. Così il sig; Pietro Reggiani, come voce del suddetto comitato, esprime ripetutamente, nel 1952 e 1954, i timori per il patrimonio della città, in parte fondati, come testimoniano le cronache locali. “Oltre la vetustità della costruzione, l’inclemenza delle stagioni, ha reso antiestetica questa vecchia porta, e non di rado nei giorni di pioggia e vento è facile notare la caduta di terriccio e calcinacci…, ma cosa si aspetta a demolire gli avanzi della costruzione che rischiano di divenire un ricettacolo di ogni rifiuto?”. In seguito a queste sollecitazioni la soprintendenza sottolineava la necessità di restauri onde evitare “danni irreparabili”, ma fino al 1967 non interviene. E’ in questi anni che si eseguono perizie e sopralluoghi da parte del soprintendente E. Cecchi per i lavori da eseguire compresa l’ipotesi di ricollocamento del busto del Cardinale C. Paolucci. Nel 1977 vengono rinvenute tracce di una fornace, non collocabile cronologicamente, nelle cantine di un’abitazione nella piazza di Schiavonia. I ritrovamenti fanno riferimento ad una camera con cunicolo ed una serie di ambienti circostanti che sembrano essere collegati ad un’attività della fornace.